14. Ricomposizione - Manukian


Gli strumenti non sono solo ciò che pensiamo. In un reparto di Alzheimeer uno strumento è la ciclette. L’ASA va dal medico e dice: "Non capisco perché il signor Mario Rossi certe volte ci sta volentieri, certe volte dopo 5 minuti scende e si mette ad urlare a dire che non serve a niente". Il medico dice all’ASA: "Hai provato a cercare di capire perchè certe volte funziona e certe volta non funziona?". Cosa fa il medico in questo caso? Chiede all’operatore di base non solo di usare lo strumento, ma anche di saperlo usare, con una osservazione comprensiva. L’operatore si è accorto che davanti alla ciclette c’è un poster del giro d’Italia. Se la ciclette era messa in un modo, la foto era davanti. Se la ciclette era messa in un altro modo, non si vedeva più. Il signor Mario Rossi era stato appassionato di ciclismo. Se vedeva il poster si riconosceva in quella attività. Se non lo vedeva non si riconosceva. Lo strumento serve. Non si può farne a meno. Ma ciò che conta è saperlo usare. E saperlo usare in modo pertinente è possibile solo con la comprensione delle condizioni specifiche in cui lo strumento viene usato. 

Il sussidio economico è uno strumento? Dipende da come è stato usato. Una famiglia viene a chiedere un sussidio. Cosa si attiva? Una procedura o una osservazione? Ci si accorge, ad esempio, che negli anni quella famiglia ha avuto 45.000 euro? E continua a chiedere? Si, ma hanno diritto. Non puoi non darlo. Il nodo a volte non è se lo strumento è adatto o meno. Il nodo è come lo usi. Se non scivoli subito nel giudizio dell'altro (è un approfittatore, non ha voglia di fare niente...) forse puoi darti lo spazio di capire cosa può servire. Parzialmente. 

Nel sociale siamo molto affezionati ai miti più che alla realtà. Siamo più appassionati e attenti ai miti che alla realtà. A quello che dovrebbe essere, più che a ciò che è. Se l’apprendimento è entrare in contatto con la realtà, una delle difficoltà maggiori è aiutare coloro cui ci rivolgiamo, cioè coloro che sono destinatari delle attività, a vedere la realtà. La realtà è sempre con luci ed ombre. E’ sempre ambivalente. Non c’è mai un male che è tutto male e un bene che è tutto bene. Se tu entri nella realtà vedi le disperazioni ma anche le speranze. Se non entri nella realtà, vedi solo disperazione da una parte e speranza dall’altra in modo scisso. E così è impossibile intervenire. 

In ciascuno dei tre interventi è stato sottolineato che c’è l’elemento della scoperta. La scoperta è una soddisfazione. Ne sei gratificato perchè hai costruito qualcosa. Non è solo un piacere. La scoperta è creare condizioni per affrontare i problemi. Le scoperte ci rendono più competenti. 

C'è difficoltà a sostenere la delusione delle aspettative dei committenti. Che è legata anche ad una difficoltà dei committenti di prendere contatto con la loro realtà,  che non è come loro la vorrebbero.  Spesso andiamo alla ricerca del reale perduto. Pensiamo che ciò che ci appare sia la realtà. Che la realtà ci parli. La realtà da sola non ci parla. Ci parla solo se la smascheriamo. La realtà non è come ci appare. Non è una cosa che è e che quindi, semplicemente essendo, noi la capiamo. La realtà va scoperta. Solo entrando in contatto la capiamo. E la scoperta è sempre parziale. Sempre soggettiva. Per cui solo mettendo assieme più parti potremo comprendere meglio. E solo mettendo assieme più parti potremo creare i presupposti per collaborare.

Si, ma quelli che pagano vogliono presto e subito. Come si fa? Come possiamo cercare di entrare in contatto con queste attese, ma aprendo degli spazi di sosta e riflessione? Una volta dicevamo che gli utenti facevano domande che andavano riformulate. Nell’ottica di domanda-risposta. La semplice riformulazione. Non c’è niente di più illusorio. Cosa implica? Implica che, in un modo o in un altro, riusciamo a creare rapporti di fiducia tra noi e chi ci fa queste richieste, in modo da poter sostenere la loro disillusione. In modo da poter aprire spazi di attesa, che non siano attese immediatamente chiuse. In modo da condividere l’attesa. Per entrare in contatto con le situazioni abbiamo bisogno di aspettare un po’ insieme, per fare in modo che le domande diventino realistiche, che tengano conto della realtà e che quindi siano assumibili. Altrimenti è facile che la cooperazione conoscitiva avvii la collusione. Tu ti illudi, io dò spazio alla tua illusione e insieme ci gratifichiamo di qualcosa che non abbiamo fatto. 

In Lombardia, se andassimo a vedere, in 20 anni, cosa è stato investiti in soldi, risorse, progetti e ci dicessimo: a cosa ha portato in termini di miglioramento della qualità della vita collettiva? Ogni tanto non sarebbe male farsi queste domande. Io credo che sia molto interessante partire da queste domande. Apprendere è entrare in contatto con la realtà. Entrare in contatto con la realtà è costoso, nel senso che è difficile. Il processo di apprendimento è scoperta. E’ fatica che ti dà soddisfazione. Mentre il processo di avvicinamento alla realtà è penoso, vuol dire accorgersi che la realtà non è ciò che vorremmo. La pena è una fatica dolorosa. 

Pensiamo sempre che il problema sia già dato. Invece il problema e la sua rappresentazione vanno costruiti. Da un lato servono dati quantitativi, che però hanno un valore qualitativo. Ti dicono di quel contesto. Da un altro lato servono dati storici. Che viene sempre sottovalutato. Farsi raccontare la storia non è fare l’anamnesi. L’anamnesi è una serie di domande/risposte. E’ uno schema dato. Farsi raccontare la storia permette di capire quali sono le rappresentazioni che le persone hanno di quello che hanno vissuto. Che è importantissimo. Viaggiamo tra lo smascherare la realtà e le rappresentazioni che le persone hanno dei fatti. Il nostro apprendimento non può essere monovisione, monoculare, monotematico. L’uso dei dati nei servizi è difficile. E’ sempre sottovalutato. Dalla fine degli anni 80, ormai quasi 30 anni fa, ho provato a lanciare dei seminari sull’uso dei dati. 3-4 iscritti. I dati sono degli uffici statistici, degli uffici amministrativi, quelli che fanno i calcoli finanziario… Errore! I dati servono a noi. Anche i dati economici. Quale è la rappresentazione che avete dell’aiuto che ricevete? Quello che si sottovaluta è che continuare a perseverare in beneficenza senza fine, non crea cittadini, crea dipendenza. I dati sono importanti per individuare i problemi. Magari il problema è l’uso del denaro. 

Si pensa sempre che i dati siano quelli depositati nei documenti e che vadano interpretati dagli esperti. Nei servizi siamo anche produttori di dati. Se costruissimo dati più attenti, questo aiuterebbe il nostro lavoro e aiuterebbe il dialogo con le istituzioni. Come rappresentate il vostro lavoro con gli amministratori? Spesso solo numerici o solo qualitativi. Senza percentuali, senza serie storica, senza comparazioni. Senza persone, senza storie. Gli esperti si differenziano dai non esperti solo perchè sanno più degli altri quanto tempo e quanta fatica ci vuole per affrontare i problemi. Gli esperti non hanno lo zaino magico. L’esperto non è colui cui deleghi la ricerca della soluzione. Insieme vanno condivise ipotesi su come mai succedono delle cose. Ma questo abbiamo la necessità di costruirlo con altri. Con il sindaco, con il preside, con le famiglie, con le altre comunità… Se non c’è una condivisione di ipotesi e di visione dei problemi non si fa altro che criticarsi a vicenda. Da qui i litigi e le competizioni. “io ne so più di te” e invece di mobilitare risorse che diventano interessanti perchè integrate si rischia di sterilizzarle e di atrofizzarle. Perchè ognuno si tiene stretto le sue risorse per superare gli altri o per non esserne sopraffatto. 

L'uso dei dati serve sia per mettere a punto la prima attività, sia per comunicare la propria attività a degli interlocutori che è importante che la sostengano. Visibilizzare ciò che si fa. Rendere visibile. Per visibilizzare bisogna portare elementi. Un amministratore. Un cittadino. Importante è rappresentare la buona causa, perchè i fondi vengano messo a disposizione. Se non si aiuta l’altro a sentire la buona causa perchè dovrebbero mettere a disposizione i soldi? 

Un altro fattore importante è la visione soggettiva. Quanto ciascuno di noi, rispetto alle sue attese, all’immagine di sé che ha, all’immagine che vuol dare di sé, sopporta il percorso faticoso che è il percorso per arrivar a prendere i problemi. L’urgenza di fare è dentro di noi. La componente salvifica è dentro, in tutti quelli che si occupano di sociale. Di fondo ciò che ci motiva è il cambiamento. Fare qualcosa per gli altri. Abbiamo a che fare con questo demone che è dentro di noi. Che ci invita continuamente ad andare in quella direzione. Quindi gli educatori all’epoca, non laureati, erano qualcuno che era bravo con i ragazzi. Mi dicevano: non conta la grammatica. Conta la pratica. Ci sono doti che ognuno si ritrova. Ma le doti non bastano. vanno collocate in un contesto. Anche perchè il buon rapporto che un educatore ha con un ragazzo non è detto che sia quello che poi riesce a tirar fuori un ragazzo da grande difficoltà. A volte si, a volte no, a volte per un periodo. Le dimensioni soggettive vanno riconosciute e prese in seria considerazione. 

La famosa equipe di cui si parla, è più citata nelle rappresentazioni che attiva nella quotidianità operativa. Le equipe, come tutti i gruppi, sono attraversate da simpatie e antipatie, vicinanze e alleanze e rifiuti. Divergenze e convergenze. Le equipe potrebbero essere camere di compensazione molto interessanti delle motivazioni soggettive, ma non sempre riescono ad esserlo. Nel fattore soggettivo un elemento centrale è il sapere di non sapere. Riconoscere che si può imparare dall’errore. Che l’errore non è irrimediabile. Che l’errore non è una vergogna. Diventa critica la nostra capacità di sopportare. Di essere criticati. Di restare a contatto con chi non ci considera. Perchè la capacità di stare in questo, senza cedere e colludere con passi rassicuranti ma inefficaci è decisiva per l’apertura delle prospettive di possibilità. 


Non è la distruzione che permette la costruzione. 
E’ come se da una parte ci fosse una delegittimazione esterna che distrugge. 
E una frustrazione interna degli operatori che nella loro difficoltà rischiano di distruggere. 
Non è la lotta che permette di vincere di fronte ad un mondo di disagio e sofferenza. 
Ci tocca rinunciare senza rinunciare. Fare un passo indietro per poterci inventare nuovi orientamenti e strumenti. E non farlo da soli. 

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