Animazione è mettere al lavoro le energie positive


E' importante che c’è tanta gente che sta mettendo in gioco la prospettiva. 
Per me è fondamentale intensificare lo scambio, perché spesso molte esperienze non usano il termine animazione ma la sostanza c’è. La sostanza è riscoprire e mettere in moto le energie positive di una nazione. Forse l’animazione è mettere al lavoro le energie positive. Se c’è una competenza delle Acli è il lavoro. Il mettere al lavoro. Far lavorare. La capacità di mettere la gente al lavoro. 

Risorse positive, energie positive. Questa è la stranezza. Molto del lavoro nell’ambito sociale mira sul problema. Sul bisogno. Quello che fa l’animazione è scommettere che nei territori ci sono risorse che possono mettersi al lavoro, anzi risorse che attendono di essere messe al lavoro attorno a problemi. 

Aggiungo una cosa. Non è che fino a che non c’è domanda, noi non andiamo, non partiamo. Nessuno comprende davvero la domanda fino a che non riceve una proposta. Fino a che qualcuno non gli rompe un po’. Fino a che non vede qualche risposta possibile. L’animazione scommette che, anche dentro la crisi attuale, sono risorse. Siamo freireiani, i temi generativi... Baumann... anche dentro l’attuale tempesta, anche nel quartiere più disgraziato, c'è qualcuno che ha già digerito la crisi. Quelle persone vanno interettate, perché sono portatori di anticorpi. Dietro l’animazione ci sta di non nascondersi il problema. Ma sapere che quelle periferie, quelle reti, quelle stesse che producono la malattia  e ammalano, quelle stesse sono anche reti capaci di curare. E che in ogni caso la soluzione dei problemi non va portata da fuori. Sei tu che devi entrare in quella cultura, capire dove si formano risposte. E in questo modo, aprire possibilità inedite per un quartiere, mettendo in gioco le forze che già esistono. Non possiamo aspettare...

C'è un bellissimo episodio, riportato in una notizia di Internazionale, c'è un campo da gioco, in Nigeria. E' notte, 22 giocatori in campo, non si vedono. Perché le luci non ci sono. La gente dice: che cavolo di partita è? Fino a che i giocatori non iniziano a scaldarsi. E a correre. E lentamente qualche led si accende. Quando inizia la partita vera, i led sono tutti accesi. Perché la luce è prodotta da un meccanismo diabolico. Sotto il campo ci sono particolari materiali che assorbono le energie, quella energia viene trasformata in energia elettrica.  L’energia della partita la danno i giocatori. Ai giovani, alle periferie, non serve dare energia. Di energia ne hanno. Ma bisogna organizzare la partita. Bisogna animare la possibilità di giocare una partita. Ma non siamo noi che giochiamo e non siamo noi che è che diamo l’energia. Possiamo essere noi che organizziamo il modo per cui l'energia produca la possibilità di vedere. 

La domanda che c’è oggi: solitudine, rancore, periferie che vanno nella destra estrema, amarezza, cinismo... nascono dal  fatto che c'è stato l’abbandono, nascono dalla sensazione di povertà, nasce dalla realtà di zone in cui la forbice tra ricchezza e povertà si è allargata fino al punto che è tutto buio, non si vede più. La gente è arrabbiata e questa rabbia va presa sul serio. Ci troviamo ad entrare in zone dove è faticoso andare. Ma, anche se andiamo in periferia, se noi riuniamo solo i volenterosi, non siamo ancora in periferia. Dobbiamo scendere dentro. Solo se raggiungiamo chi fa fatica, allora siamo in periferia. Se in periferia noi scremiamo solo i nostri amici, siamo ancora sempre solo tra di noi. L'idea di animazione in periferia è l'idea di andare a cercare le risorse. Convinti che le risorse esistono. E che vanno cercate nelle zona di maggior sofferenza, rabbia, rancore. Sapendo che il problema non è solo di tipo economico. 

Melucci dice che una delle forbici che si allarga oggi, è la forbice tra chi comprende in che società siamo e chi è confuso, chi non capisce più nulla. Ed è talmente confuso che è pronto ad ogni semplificazione e ad ogni leaderismo. Purchè sia qualcosa che dà un sapere già codificato e fatto per guardare al futuro. Periferia sono i luoghi distanti fisicamente, ma soprattutto i luoghi dell’ingiustiza sociale e i luoghi dell’impoverimento culturale. Periferia è quel luogo che volontariamente e professionalmente intendiamo abitare, come persone e gruppi che non credono più in questo modello di sviluppo, questo modello di relazioni sociali, questo modello di mondo del lavoro. Tra persone che cercano una via altrimenti. 

Chi sono gli animatori. Gli animatori sono volontari o professionisti. Che dentro le fatiche di un quartiere. Con la povertà relazionale, sociale, linguistica...(Oggi ci mancano le parole per dirlo, lo slogan viene usato come porto di rifugio, come luogo di tranquillità). La presenza degli animatori è la presenza di professionisti e volontari che condividono la periferia come presa di distanza dal modello di società, che crea ingiustizia, che non lascia intravedere futuro se non per pochi. Nell’intento di costruire cosa? Qui vado al vero obiettivo di ogni animazione: la liberazione.

I guai della società che stiamo attraversando, da un paio d’anni, stanno colpendo ogni esperienza di gruppalità. La crisi passa al singolo attraverso l’infragilirsi delle forme di gruppalità. Non hai più legami che tengono. Non hai più punti di riferimento. Sei sperso. La vera crisi è questa. Ciò che fa l’animazione è tessere, mobilitare, perché ci siano esperienze di gruppalità. Questo è il compito. Gruppalità che hanno bisogno di trovare legami. Tessere legami di gruppalità. Semplici. Micro. Gente che gioca a calcio assieme. Che fa un gruppo di lavoro sulle sotanze. Mamme che si trovano intorno all’imparare a cucire... Ogni esperienza in cui si vive la gruppalità è un luogo dove cresce la partecipazione. E cresce la liberazione delle persone. 

La mia liberazione, la presa di coscienza di chi sono io, senza positive esperienze gruppali è difficile. Se la scuola è in crisi, la famiglia è in crisi, meglio che ci sia almeno una società sportiva... un luogo, qualcosa, che permette agli adolescenti di fare esperienza... gioco, perdo, prendo le botte… ma finalmente sento che tutto questo è vivere. E che io vivo. Sono consapevole di me. 

Tenendo conto che la gruppalità matura (facendo qualsiasi cosa, magari facendo gli orti sociali, magari facendo teatro, magari facendo altro...) comunque implica 3 componenti:

1.    C’è animazione dove c’è una abilitazione della parola dei cittadini su quello che stanno vivendo. La gente può prendere parola. Su quello vive. Cucendo piccoli ragionamenti, piccoli discorsi. Dal leggere quel che succede, al far nascere la domanda: mo’ che facciamo? Non c’è animazione senza che cambi il vocabolario delle persone. Educazione al vocabolario. Alle frasi dette bene in italiano. Ben pensate, ben costruite. Animazione è anche educazione linguistica. Perché solo lì possono nascere comprensioni del reale ma anche creatività. 

2. La capacità di mettere in azione le risorse è un atto di tipo creativo. Chiede immaginazione, chiede di guardare oltre, ha bisogno di altri punti divita. Fino a che nasce un: "proviamo a far qualcosa". Che poi diventano progetti. L' animazione mette al lavoro le persone che hanno vissuto quel percorso animativo e che vogliono vivere l’azione. Fare. Fare concretamente, con le proprie mani, con il proprio corpo, con le proprie energie. Questo bisogno di fare non va banalizzato. È un modo per resistere in una società in cui hai l'impressione di non contare nulla. 

3. Dobbiamo fermarci con calma ad imparare da quel che succede nella vita collettiva. Se è vero che abbiamo molti problemi, è anche vero che la realtà è in movimento. E non siamo gli unici che si mettono in testa di provare a "sortirne insieme" dai problemi. Vogliamo aiutare un quartiere a sortire assieme? Questo rimanda al come vivere altrimenti, entro quale stili di vita, con quale modalità di consumo, di produzione, di relazione democratica… ci porta a doverci aprire ad altri, a coloro che non si chiamano animatori, che ciò che fanno non lo chiamano animazione,  ma che lavorano su aree di ricerca generative oggi. Quelli sono compagni potenziali di viaggio. Ne identifico 4.

1. Area del cibo. Del riuso. Del consumo. Dell’energia. Tutto questo sta sprigionando tanto. Orti sociali, agricoltura biologica, gas, commercio equo... Tante esperienze che ci portano a dire che il vivere altrimenti si sta sviluppando. Sono esperienze che stanno già cambiando il modo di vivere. 

2. La cultura. L'arte. Il teatro. Ci interessano per la capacità che hanno di leggere fatiche e di inventare qualcosa.

3.    Educazione. Auto aiuto. Solidarietà. Sarebbe formidabile andare a comprendere come alcuni immigrati non si sparano e non si perdono, perché hanno trovato degli appigli nei nostri territori. Si sono riorganizzati. Hanno costruito una solidarietà concreta vissuta. C’è un pullulare di nuove energie...

4.    Gruppi, reti, che provano a ragionare su come governare un territorio. I miei amici di Bergamo mi portano indietro negli anni. Quando gli operatori del comune, gli assistenti sociali, parlavano di lavoro di comunità, ma non capivano, perché per loro il territorio era un luogo vuoto. Allora degli amici hanno proposto di andare in giro nei quartieri. E allora andando in giro veniva fuori che nel territorio c’erano organismi misteriosi. C'erano reti, gruppi, associazioni, club, professionisti… che si trovavano insieme per governare quel pezzo di città in maniera partecipata, con progetti elaborati in questi 23 reti che si erano costruite. C'erano reti di piccole associazioni che provavano a governare i problemi. E le istituzioni e le grandi nemmeno le vedevano. Bergamo, Cremona… sono luoghi dove ci si preoccupa non solo di fare gruppi. E di aiutare a crescere. Ma anche di creare reti di secondo livello, che provano a dire: vogliamo produrre insieme, tra queste reti, mobilitando e mettendo al lavoro le risorse.

Dove sono le Acli in tutto questo? 
Sicuramente al primo livello: costruire gruppalità. Ma anche a questo secondo livello. Avendo una storia politica di rilievo, le Acli sanno che ritrovare alleanza politica tra attori è di fondamentale importanza. Ma rispettando l'assoluta autonomia delle reti. Le reti sono animali gelosi. Non dite alle reti cosa fare. Vi rifiutano subito. Ma se c’è rispetto reciproco, se le istituzioni si avvicinano facendo alleanze feconde, può essere fruttuoso. Non si può governare un territorio se non con processi di reti di secondo livello. 

Le case di quartiere hanno enfatizzato il problema del luogo. I luoghi servono. Non c'è più la ricerca dei vecchi centri di aggregazione. Ci possono essere le nuove forme di circolo. Realtà che hanno un riferimento, e sono il luogo di tante cose. Non strutture piramidali, ma reticolari. Governate in modo diverso. Le forme organizzative che fanno leva sui luoghi sono fondamentali da riprendere in mano. Dovrete anche capire come dare consistenza a questo tipo di processi, che diano continuità tra volontariato e professione. Questo chiede ai professionisti di mettere in gioco le proprie risorse e le risorse dei volontari. In modo partecipato. Con gli animatori che non sono i leader. Anzi, stanno sempre un passo indietro. Gli animatori sono animali democratici. Sono animali che cuciono assieme tanti pezzi. Sono animali che sanno anche battere i piedi e incazzarsi, di fronte di certe cose. Ma se tu bisticci per farti bello è un conto, se bisticci per protagonismo... Se bisticci per l’interesse collettivo la gente ti accetta, anche se sei un rompicoglioni. 

E' cruciale il rapporto tra associazione  e reti di animazione. L'animatore non rende conto solo alle Acli. Rende conto anche agli altri. A chi ha incontrato ed attivato. Si entra in una forma di democrazia. Dove le decisioni vengono prese assieme. Le decisioni non sono di ordine piramidale. Certo, le Acli sono una forma riconosciuta di militanza. Hanno un'identità. Ma  questa militanza si esprime, in questo caso, con l’animazione, che ha i suoi stili. 

Un vostro vecchio presidente. Giovanni Bianchi, cofondatore di Animazione Sociale, con Don Ellena, Canevaro.... Quando abbiamo fatto il funerale di don Ellena era presente anche Franco Garelli e mi ha detto: Vai da Bianchi, ad invitarlo a parlare, dopo Ciotti. E Giovanni ha accettato. Io ricordo che lui disse: 

"Era il 68, mentre tutti facevano in quel momento grandi movimenti di piazza, con grande ideologismi e grande generosità, noi (la redazione di Animazione Sociale) ci siamo guardati negli occhi e ci siamo detti che noi non dovevamo salire sulle barricate. Noi dovevamo stare dietro le quinte a lavorare nei territori, per costruire esperienze di gruppalità micro, esperienze di partecipazione micro, che permettessero di tirar su nuovi cittadini, che decidessero quale poteva essere il bene comune da perseguire". 

La capacità di stare un passo indietro non è l'indifferenza o la neutralità è la militanza che si mette a servizio dei processi di partecipazione. 

Ma come fare? 

C’è un processo di lavoro che reputo fondamentale:
-      gruppi locali, formati da reti o formati magari anche solo da un paio di volontari delle Acli, scendono in un quartiere e provano a fare delle cose. Con sguardo vasto...
-      quello che conta è un cammino, una sorta di circolo virtuoso che parte dal fatto che queste persone, prima di entrare nelle situazioni, prima di scendere in quartiere, si fanno dei ragionamenti. Si fanno delle letture, delle ipotesi. Ipotesi leggere. Non chiuse, non sature. Ma è fondamentale mettere allo scoperto questo ipotesi. Se no le attese sono troppo diversificate. 
- Magari facciamo anche un progetto. Magari ci danno anche i soldi. Ma come dico sempre, quando hai vinto l’appalto, l’amministrazione tiene i fogli. Tu buttali. Perché non realizzerai mai quelle cose che hai in mente. Tu devi fare una cosa. Entrare in quartiere. Ascoltare le puzza. Le grida. Le corse. I salti. Le solitudini che vedi. Vedere le persone come fanno…. E lasciarsi permeare dal fatto che queste persone stanno cercando ragioni per vivere e forse ne trovano. 
- In ogni caso non ti permetti di dire cosa fare. Entro, annuso, perdo tempo, perdo tempo, perdo tempo... mi metto a girovagare, fino a che intuisco qualcosa, assieme alla piccola rete che ho… intuisco qualcosa di quel quartiere, della sua storia. Se uso i miei schemini di sicuro non vado da nessuna parte. Ma non rinuncio al mio sapere. Credo nel fatto che i territori sono vivi. Sono animali viventi. Che si ammalano. Guariscono, vanno avanti, si rialzano. E tutto questo mi appassiona. 

A quel punto, vale l’idea di mettere al lavoro le persone. Vale l’idea che assieme si sviluppa qualche legame. E si sviluppano azioni. La gente impara dai piccoli successi. Poter sperimetnare quache successo è fondamentale. 

A quel punto si va avanti nel coprogettare. Restituendo potere alla gente. Le reti servono per restituire potere alla gente. 

Mentre hanno i piedi per terra, gli animatori tornano a fare pensatoio. A salire in una nuvoletta dalla quale possono vedere quel che succede e ragionarci, illuminando la scena, cercando di comprendere, dove sono le positività, il fascino, e producono un sapere critico su quella esperienza che nasce dall’incontro tra le nostre ipotesi iniziali, professionali, acliste, e quello che abbiamo sperimentato. Scommettendo che si può andare avanti solo apprendendo dall’esperenza. E mettendo a confronto esperienze diverse dello stesso territorio e di più territori.

Compito delle Acli, stanare le singole esperienze, metterle in situazione, tenerle dentro a lavorare assieme, in modo che si produca sapere sull'animazione. O farsi stanare, farsi mettere in situazione... Fondamentale, estrarre il sapere dalle cose che fate. E' peccato mortale  sprecare il sapere nascosto nel proprio fare. Le Acli hanno da fare centanni di autoflagellazione su questo aspetto...

I cittadini tutti, non hanno bisogno solo di accedere alle cose buone, ai beni comuni, ma hanno bisogno anche di dialogare. Non hanno bisogno che noi raccontiamo e buttiamo addosso il nostro fare. Quella è promozione. Hanno bisogno di incrociare le loro domande (dolorose, sofferenti, spesso da cui non sanno come uscire, che portano a rancore, disagio, a sparare su tutti, confondendo i diritti…).  Questa gente ha bisogno di incrociare il sapere che noi accumuliamo su come vivere altrimenti. Ha bisogno di intrecciarlo con le loro domande. Perchè dall'incrocio nasca una speranza a cui tutti pos

siamo aggrapparci. Non usando saperi prefabbricati. Usando la nostra storia di pratiche ed esperienze.

A quel punto, fatto tutto questo, non prima, potete tornare a fare l’assessore, o a fare politica, ad  ingaggiare con la politica i ragionamenti sul perché non deve tagliare i fondi. 

Intervento di Franco Floris nel focus group "Animazione e periferie" nell'incontro Nazionale di Studi Acli 2018 Animare la comunità. Trascrizione in diretta degli appunti, non rivista dall'autore. 








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