Organizzazioni: leggere il proprio posizionamento, per muoversi nel cambiamento






Intervento di Giovanni Fosti all'Assemblea dei circoli Acli della Lombardia.

Premessa:
Imparare a volere bene al mondo in cui ci troviamo.
Non colludo con l’idea che se siamo in difficoltà è perché qualcun altro ne ha la colpa.
Può anche essere vero, ma il mio compito è vedere cosa possiamo fare.
Tutto quello che abbiamo intorno ci dice con chiarezza che siamo alla fine di un’epoca.
Ma può voler dire che siamo all’inizio di un’epoca. Non sto dicendo che è una buona notizia. Non sto dicendo che è una cattiva notizia. Sto dicendo che dobbiamo decidere se vogliamo aggrapparci a quel che resta del prima o scegliere cosa c’è dopo.
Un conto è portarsi dietro dei valori. Un conto è portarsi dietro dei servizi, dei modelli. Che ci sono stati in quel momento lì, ma non è detto che siano da portarsi nel dopo.

Cosa sta accadendo nel paese:
La struttura della famiglia sta cambiando in modo velocissimo e impressionante. A Bologna presentando scenari del welfare, il 50% delle famiglie bolognesi è unipersonali. Stessa cosa è a Milano. Un welfare che è centrato sulla capacità di cura della famiglia ha in mente il Mulino Bianco, ma poi si confronta con un 50% delle famiglie fatte da una persona sola.
C’è il mondo che abbiamo in mente e poi c’è il mondo reale.

Il 70% delle persone over 65 alla domanda: pensi di poter dire che stai: bene/né bene né male/male si colloca tra bene e né bene né male. La fascia anziana noi ce la rappresentiamo come bisognosa di cura. In realtà non è sempre così.

Le famiglie italiane hanno più supporto dalla rete famigliare che dal welfare pubblico. La fascia anziana è il perno reale del sistema di welfare perché mentre corre a fare conciliazione per i figli, prendendo in cura i nipoti, contemporaneamente ha un genitore anziano che ha elevato fabbisogno di cura. E’ la fascia di età che svolge questa funzione in un paese con sistema previdenziale costruito anni fa’.  I 70enni che saranno 70enni tra 30 anni si troveranno di fronte a bisogni simili ma in un sistema previdenziale diverso.

Se guardo il cambiamento con le stesse lenti di 15 anni fa io non capisco niente di quello che sta succedendo. Non sono un esperto di analisi sociologica. Sono uno che occupandosi di progettazione dei servizi deve vedere e capire la realtà.
Questo vale anche per voi. Per capire dove posizionare la vostra associazione, avete bisogno di vedere e capire la realtà.

Sta cambiando la struttura del lavoro. Non è solo contratti. E’ identità. E’ ancoramento o disancoramento dalle strutture fisiche (in alcune aziende il part time è visto meglio perché lascia il tempo per riprendere). Fenomeni di impoverimento. Società più povera. Non so se transitoriamente o stabilmente più povera. Ma sicuramente è impoverimento.

Il numero di famiglie in povertà raggiunge numeri più alti. Gli italiani in condizione di povertà sono 8 milioni. Aumentano gli sfratti (le politiche abitative, che non erano un problema in Italia, tradizionalmente, 80% degli italiani è proprietario di casa, è diventato problema perché le persone non reggono l’affitto, aumentano gli sfratti non dovuti a fabbisogni del proprietario ma ad incapacità di pagare).

Cambiano i livelli di protezione e di sicurezza contrattuale. Lo cito come fatto. E’ oggetto di discussione politica forte. Nel leggere le trasformazioni a me interessa ricordarci che se 30 anni fa i miei genitori erano lavoratori di circa 30 anni, non solo avevano un lavoro protetto, ma sapevano che era il lavoro per i prossimi 30 anni. Mentre una persona che fa qualunque lavoro oggi non è portatrice di una conoscenza dello stesso tipo. Non sa se tra 5 anni farà qualcosa di continuamente diverso. Se lo farà nello stesso posto o altrove. Ci sono processi di mobilità e cambiamento che sono molto più alti. Questo dà alle persone più libertà. Puoi immaginarti tutto. Ma contemporaneamente il rischio che non porti a casa niente è altissimo. Il che significa che si hanno grandissime opportunità, per chi riesce a coglierle (ed è più facile che lo faccia chi parte in pole per coglierle). Ma i rischi sono molto più alti e le persone molto più esposte all’incertezza.

Mentre intorno tutto è cambiato, non è cambiato nulla nel sistema dei servizi. I servizi tendono ad immaginare che le persone che si confrontano con i servizi siano tradizionali, dal punto di vista della famiglia. Si immaginano lui, lei, 2 figli. E si immaginano che queste due persone siano con un contratto a tempo indeterminato. E la prima cosa che gli chiedono è: “fammi vedere i parametri ISEE”. Il dibattito oggi è la riforma dell’ISEE. Mentre va lavorato su modelli diversi perché sia più fruibile per le persone.

15 anni fa una persona che non riusciva a lavorare e non stava studiando la vedevamo con sospetto. Oggi chi non ha nei suoi radar familiare una persona che non sta lavorando, non sta studiando e contemporaneamente è fermo? E’ un’esperienza che caratterizza più o meno ciascuno di noi. Riguarda più di 2 milioni e mezzo di persone nel paese.

Oggi abbiamo 50% di famiglie che sono unipersonali. Con un patrimonio immobiliare, ma con una pensione bassa. Forti sul fronte patrimoniale, ma deboli sul fronte reddituale. E il patrimonio diventa un problema ed un onere.  

Le persone hanno due livelli di fragilità. Una fragilità conclamata: sei fragile perché hai perso il lavoro. E’ quella che Gino Mazzoli chiama vulnerabilità. Quella non è povertà. Non è fragilità conclamata.  Ma le persone in quella condizioni sanno che se le cose non vanno bene (anche di poco) il rischio di diventare poveri conclamati c’è. Ed è un rischio reale.

Le persone si sentono sole, perché da sole non riescono a decodificare il cambiamento. Lo percepisci come se fosse un cambiamento solo tuo. E’ come se noi avessimo delle mappe perfette. Ma è venuta giù una frana. E tutto è cambiato. Ma noi andiamo avanti con le mappe di prima. Il mondo è difficile, è vero.  Ma è più difficile perché viviamo con le mappe di prima. Non erano cattive mappe. Non discuto della bontà delle mappe. E’ che intanto il mondo è cambiato.

Ci sono cose interessanti e comprensibili per esperienza individuale di ciascuno di noi.
Negli anni 70 la banca ci ha detto: se vuoi avere liquidità io ti dò un bancomat. Così tu vai da solo allo sportello. E’ stato il primo tassello di un cambio enorme.
Oppure… una piccola impresa di abbigliamento, invece di farti entrare per comprare il maglione e farti trovare il banco, il commesso, la torretta per evitare di lasciarti toccare il vestito… ha cambiato completamente la struttura dei negozi.  Tu entri, prendi in mano e scegli. Benetton… E costruisce su un criterio: quando c’è tanta gente, arriva altra gente, quando non c’è gente, non arriva gente.

Questo vale per noi, oggi. Per i servizi, per le Acli. Perché io non apro il campo? Perché non permetto al cliente di entrare nel processo produttivo? Perché lui non può comprare più di quanto io non venda! Vi ricordate i commessi anni 70? Ti inquadravano, decidevano quanto puoi spendere, cosa ti poteva piacere…. Era un processo facile, non ti esponeva. Era costruttivo ma protettivo.

Il lavoro del commesso oggi è un altro. Tu vedi, prendi, tocchi, provi… lui mette in ordine. Prima bastavano 3 clienti e se c’era un commesso solo si faceva la coda. Oggi 3 clienti vanno in contemporanea. E il commesso gira.   

Sei tu, il cliente, che stai facendo il lavoro per la banca quando vai al bancomat, per il negozio quando scegli i maglioni. Ma nessuno si sogna di immaginare che questo è un fastidio. Sei più parte, più dentro nel processo. E tutto questo riconfigura anche cose più importanti, tipo il rapporto con l’autorità, le dinamiche di ordine e disordine... Ad un livello di profondità più alto pone la questione di come ognuno di noi, nella propria esperienza quotidiana, sia abituato a prendere parte. E questo della partecipazione è un nodo chiave. Riguarda tutti. Con livello diverso.

Mettiamo da parte il piccolo negozio. Se guardate il supermercato. Dentro convivono processi completamente diversi pensati per persone diverse. Posso andare, prendere tutto già impacchettato, fare la coda alla cassa normale, pagare ed uscire.
Ma posso anche prendere le cose sciolte, sceglierle e pesarle, fare io il pacchetto. Posso andare alla cassa automatica e farmi il conto da me. Non tutti preferiscono impacchettare. Non tutti preferiscono la cassa automatica. Questo vuol dire che in una stessa situazione si identificano 4 profili diversi. Le persone giocano la loro parte e costruiscono il proprio percorso in modo diverso.

Ma questo dovrebbe farci riflettere. Chi riesce a fare questa operazione di offrire modelli di relazione individualizzati? Il piccolo o il grande?  Ci vuole un soggetto abbastanza grande per avere le competenze tecnologiche per allestire un gioco fatto così.

Ma questa cosa non è nuova. Oggi siamo anche oltre. Se andiamo a vedere cosa succede oggi, oggi la banca ha aperto un proprio sportello a casa vostra. Cosa è l’homebanking? A noi permette di fare operazioni bancarie senza andare in banca e di sentirci più liberi ed indipendenti. Alla banca permette il fatto che il cliente mette a disposizione il proprio patrimonio immobiliare e che il cliente faccia il lavoro che serve per produrre il servizio.

Io vi ho descritto come sono cambiati i processi di produzione di valore. Eravamo abituati che uno produceva valore, lo trasferiva e un altro lo comprava. Oggi voi andate online e partecipate alla configurazione che poi produce. Noi siamo entrati nel processo di produzione. Non riguarda tutti. Riguarda chi vuole entrarci. Ma vediamo che tendenzialmente la transizione è verso processi in cui siamo attivi.

Ma l’esperienza per ciascuno di noi è che mentre siamo sempre più attivi in alcune parti della vita, in altre parti della vita siamo ancora molto incasinati nel tenere assieme i pezzi. Se io vado a vedere i servizi e come sono costruiti io ho impressione che non abbiano in mente di parlare a persone con questa esperienza. I servizi assomigliano alla fabbrica fordista. Si immaginano che loro producono e loro erogano. Mentre abbiamo una serie di modalità di costruzione di valore attraverso la partecipazione, dall’altra parte abbiamo associazioni che faticano a vedere questo elemento. L’elemento critico è anche il processo decisionale che è dilatato e diffuso, non sta in un qui ed ora. Oggi serve allestire piattaforme in cui le persone possano confrontarsi per definire, non una volta per tutte ma progressivamente.  
Non vorrei dare sensazione né di censura né di elogio. Ho solo messo in fila l’esperienza quotidiana. Che però nel momento in cui è esperienza dei territori e delle comunità ha un profondo significato.

Vi sembra possibile che le organizzazioni sociali, che per anni hanno usato la partecipazione come mantra, oggi non riescano a pensare che la partecipazione produca valore? La descrivono come processo importante, ma non lo collegano al fatto che le cose valgono concretamente di più se c’è partecipazione. E che se le cose le fai con processi partecipativi viene fuori qualcosa di meglio. La banca l’ha capita, le organizzazioni sociali fanno fatica.

E noi siamo sempre solo ancorati a processi partecipativi di tipo deliberativo, in un mondo in cui la decisione vera non è lì, ma mentre si producono le cose. Se l’esito del processo decisionale non è rilevante, progressivamente questo brucia la credibilità dei processi in cui le persone si mettono attorno ad un tavolo. Non c’è malafede. Siamo dentro a processi in cui le decisioni si costruiscono in un altro modo. Se non leggiamo questo, non leggiamo nemmeno il processo più concentrato di prendere decisioni. Da una parte ci sono macro strategie in meccanismi non sempre trasparenti. Dall’altra processi molto capillari che producono microdecisioni. Noi in mezzo, convochiamo le persone. Dibattito, decisione e il più delle volte produce…. Niente! Non è frutto di cattiveria e mala fede. E’ che quando le cose funzionano così, devi costruire processi decisionali di cui devi tenere conto.

Cosa è il circolo? E’ qualcosa che faccio io per te o è una piattaforma che funziona se le persone decidono di partecipare?   

Risorse
In questo paese le risorse per il welfare sono in diminuzione. In alcuni casi di tagli io discuto la narrativa che li accompagna. Se mi dicono che serve chiudere un ospedale piccolo perché un ospedale con 10 posti è una minaccia per la madre che sta partorendo io dico: finalmente! Meno male! Se mi dicono che va chiuso perché c’è disavanzo io mi alzo e attacco e dico: no, chiudi piuttosto quello di fianco! Il Sistema ospedaliero ha bisogno di dimensioni significative per produrre apprendimento. Il piccolo ospedale è il luogo di primo intervento. Non può essere luogo di tutela della salute. La gente impara avendo abbastanza casi. Era vicino a casa, sono andato a piedi… ma al dunque il medico si è spaventato perché non aveva mai visto un caso simile… Chi sta in lombardia, veneto, emilia, toscana (visioni diverse ma comunque ai vertici) dovrebbe sapere che il sistema sanitario che lo accoglie è uno dei primi 5 del mondo. Un conto è fare dei tagli perché il paese non lo regge. Un conto è tagli perché la malasanità è inefficiente. Dovremmo avere una narrativa sincera.  

Nel sociale… Milano/Bologna ha un sistema di copertura dei servizi per anziani non autosufficienti che lascia fuori il 70% della popolazione. E chi è dentro becca 2-3 ore a settimana. Questo fa una differenza reale per la famiglia? Poi c’è un esercito di 800.000 badanti. (I dipendenti del sistema sanitario nazionale valgono 640.000 persone). C’è un sistema di cura parallelo che ha come datore di lavoro la famiglia. La stessa famiglia che prima ha prelevato il bancomat. Poi ha fatto la spesa nei negozi impacchettando e pagando da soli. Poi è diventata anche datori di lavoro individuale.

E noi facciamo schede di valutazione precisissime per discutere l’assistenza domiciliare di pochissimi o per capire come si fa integrazione tra sanità e comune.  Noi abbiamo un sistema di welfare ancorato, nelle ipotesi, a 30 anni fa. Intanto si è creato un sistema di welfare fai da te da 800.000 dipendenti. Questa è la rivoluzione dei servizi. Il problema dei servizi è mettere in campo qualcosa che intercetti questo.

Il mio posizionamento è che io sono un microbo, in un contesto in cui ci sono altri microbi. Ma se sono un microbo con un’ipotesi posso aiutare gli altri microbi a ricomporsi. In mondo così frammentato e scomposto questo fa la differenza. Anche rispetto alle risorse la differenza la fa chi corre a ricomporre, rispetto a chi corre a frammentare.  

Organizzazioni sociali, improntate da criteri valoriali, oggi non riescono a sviluppare ipotesi coerenti con il contesto in cui vivono. Come se mettere assieme le persone fosse una cosa giusta, ma non fosse una cosa che funziona. I processi di consumo dicono anche molto sui processi di significato. E su cosa è significativo. La democrazia si costruisce nell’esperienza quotidiana delle persone. Che tipo di democrazia contribuiscono a produrre se non investono nella partecipazione quotidiana delle persone?

Se siamo nella posizione di avere risorse/potere e non portiamo a casa risultati.
Il potere di posizione conta pochissimo. Ma esiste il potere di connessione. Non contano le risorse che hai in tasca, ma le risorse che sai mettere in moto. Avendo un’ipotesi sulle risorse tue e quelle degli altri.

E’ la sfida per le associazioni:  essere soggetti che hanno ipotesi e che facilitano dinamiche positive. Non è solo valoriale, è anche più efficace. Se ti lascio da solo, da solo fai poco. Se ti aiuto a correre con gli altri, puoi fare di più. In fondo dice di una cosa molto antica e molto profonda: la comunità è più forte del singolo. Se aggreghiamo siamo più forti che se ci arrangiamo per conto nostro.

Le 800.000 badanti che fanno riferimento alle famiglie sono molto fragili. Le famiglie che fanno riferimento alle 800.000 badanti sono molto fragili. Chi è capace di aiutare una connessione tra queste famiglie e queste badanti porta un valore. Ma chi è capace di aiutare una connessione tra queste famiglie, tra loro. E tra queste badanti, tra loro, porterebbe un valore enorme. Ma serve avere un’ipotesi di cosa serve. Cosa serve alle famiglie, cosa serve alle badanti. E accompagnare le une e le altre ad uscire dal meccanismo di rispondere da solo alle proprie esigenze.

I servizi e la cultura dei servizi hanno spinto molto su questo individualismo.  C’è la tua domanda individuale a cui io rispondo con una mia prestazione individuale. E’ un Juke box. In questo modo abbiamo eroso capitale sociale. Il lavoro è stato sottrarre. Le organizzazioni sociali si possono sottrarre a questa visione. Un modo per farlo è ricomporre.

Più le organizzazioni tengono assieme la capacità di innovazione macro con una capacità capillare di stare dentro la vita quotidiana micro, tanto più hanno un potenziale enorme. Perché è il potenziale di lavorare in mezzo. Ho sempre visto nelle Acli la capacità di lavorare in mezzo. Consolidare questa capacità oggi è importante. Oggi siamo in una situazione in cui davvero ci sono meno risorse. Nessuno può fare questo lavoro andando a chiedersi: dove stanno le risorse?  Vediamo se le posso portare sulle mie idee! Oggi ll lavoro devo farlo mostrandoti le risorse che ho. Le ipotesi che ho. Perché le risorse che ho, insieme alle tue, possono creare qualcosa di interessante per me e per te. Non soggetti con il cappello in mano. Soggetti orgogliosi di idee generative di lavoro. Broker di reti social. Capaci di intermediare esigenze diffuse.



Replica….


C’è il tema del marchio: un po’ tutte le persone si posizionano… c’è la ricerca di produzione di identità che dentro contesti con una frammentazione così alta hanno bisogno di vedere  e capire. Se sei una organizzazione che lavora sull’immateriale (Acli) non è facile proporti. Il problema è che devi essere in grado di concettualizzare quello che proponi, ma poi anche di renderlo visibile e comprensibile. Non è facile ma è fondamentale. Ricomporre e riconcettualizzare una proposta in modo che sia comprensibile anche per qualcuno fuori.

Dove vai a prendere le persone? Questo mi pare un dibattito ricorrente in Acli. Le persone devono venire dove stai tu o vai a prendere le persone dove stanno loro? Questo è un nodo fondamentale. Il mestiere di chi fa formazione è accogliere e riconoscere le persone dove sono. E vedere se la proposta può essere accompagnare le persone da qualche parte. Che comunque sarà dove decidono loro. E’ anche la politica. Quale idea sei in grado di agganciare? Se partiamo da là ci accorgiamo che le famiglie non partecipano alla vita delle scuole negli organismi elettivi…. Ma provate a ingaggiare una riunione sul tema mensa e non c’è famiglia che non viene.

Ci sono oggetti che interessano e su cui le persone partecipano. Partire da lì. Ma non basta.
Ci sono persone che hanno ipotesi e persone che non ne hanno.

Questa associazione ha un patrimonio straordinario. Ha un tasso di diversità interno straordinario. Pochi altri hanno un patrimonio simile. Mi ha colpito il vostro dibattito: servizio, movimento, politica… il tema è: quali sono i livelli di equilibrio dinamico tra le sue straordinarie capacità di stare in contatto con l’ambiente? Il problematico è che ogni diversità deve collocarsi in modo comprensibile ed eccellente. Oggi devi riuscire a dire: nel campo in cui io ci sono, faccio la differenza. Che è diverso dal: sono buono, sono ben intenzionato e quindi mi devi riconoscere risorse o possibilità per questa mia bontà.  Devi riuscire a dire: faccio la differenza perché le mie capacità si connettono con le tue in modo che altri non riescono. Per cui, io sono conveniente per te. Io non faccio la differenza perché ci sono da 70 anni, per  rendita di posizione. Io faccio la differenza oggi, perché ho ipotesi sull’oggi.  

Molte famiglie che hanno la badante in realtà non hanno bisogno della badante. Hanno bisogno di poche ore. Hanno una badante solo perché nessuno è in grado di ingaggiare una persona a titolo individuale per 4 ore. Tu hai bisogno di 4 ore. Ma per avere la certezza delle 4 ore non puoi comprare che un servizio che copre il sempre.   Quelli che dicono: mettiamo insieme più famiglie, in modo che il suo problema si metta assieme a quello di altri, questo costruisce la soluzione. Non costruisco per fare uscire dal nero. Costruisco perché rispondo meglio ai bisogni.  Di fatto è un brokeraggio. Ma ha bisogno di grande competenza sociale  per mettere assieme i bisogni. Ha bisogno di qualcuno competente in mediazione di reti sociali. Qualcosa che nasce su un piano valoriale, ma si allarga. Se partiamo dall’idea che i buoni corrono assieme mentre i cattivi si arrangiano non ne verremo fuori… Dobbiamo partire dall’idea che mettere assieme è più efficace e sostenibile.

*Appunti presi in diretta e non rivisti dall'autore. 



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