dicembre 2012
E se prendiamo sul serio
questo fatto sappiamo che prima della nascita c'è altro. E che
questo altro non è pura poesia ed astrazione. Prima c'è la
gravidanza. Una lunga e lenta preparazione. Poi c'è il travaglio.
Contrazioni, ritmo, dolore.
Poi c'è la fase di
transizione. E' il periodo di tempo tra la fine della prima fase del
travaglio e l'inizio della seconda. Tra le contrazioni e le spinte.
Tra il dolore e la fatica.
E' la fase in cui in
qualche modo hai trovato un modo di convivere con il dolore, di
gestirlo. E improvvisamente il dolore passa dall'intensità e
frequenza massima ad una specie di pausa. E in quella pausa (breve o
lunga a seconda) ti senti stanca, esausta, credi (anzi, sai) di non
farcela. Pensi di aver già dato tutto ciò che potevi.
E invece quella è la
fase in cui non si può sostare. E' la fase in cui non ci si può
fermare. Nè si può tornare indietro. Da lì si può solo andare
avanti.
E andare avanti significa
trovare (non si sa dove) le energie per spingere. Capire (non si sa
come) il modo per portare a termine il lavoro. Per portare alla luce.
Per portare alla vita. Che significa anche fare i conti con la paura
della morte. Propria e di Colui (Colei) che si è tanto atteso.
Oggi noi siamo in questa
fase. Siamo sfiniti. Siamo esausti. Siamo impauriti. Siamo sicuri di
non farcela più. Abbiamo solo voglia e bisogno di crollare. Di
dormire. Di finire. Però possiamo permetterci solo un secondo di
sosta. Per respirare. E poi dobbiamo iniziare a spingere. Perchè qui
non ci si può fermare.