Lo stile Ipsia esiste. Ed è energia e vita. Cambiatelo. Miglioratelo. Rivoluzionatelo. Ma non disperdetelo.

Lo stile Ipsia esiste ed è energia e vita. Cambiatelo, miglioratelo, rivoluzionatelo. Ma non disperdetelo.
 Relazione conclusiva di Paola Villa - Presidente IPSIA - Scutari Aprile 2013
Provo a dire alcune cose non organiche, non preparate e non ben organizzate. Ma questo è quello che è fattibile per me ora. Quindi da qui parto.
La prima cosa che noto se guardo le persone presenti oggi e se penso alle persone presenti 12 anni fa', quando sono entrata nel Direttivo Ipsia, è che gli unici presenti sia allora che oggi sono Stefano Caronni, Enrico Leoni e Mario Tretola. E se penso alle persone che lavoravano in Ipsia le uniche due persone presenti allora e oggi sono Alessandro Mangoni e Roberto Carnevali. Tutti gli altri sono arrivati dopo. Vuol dire che il cambiamento che ha vissuto Ipsia in questi ultimi 12 anni è un cambiamento veramente notevole che si esprime in molti aspetti a partire dalle persone.
Ipsia si è rifondata, ce lo siamo raccontati mille volte, sull'intuizione di Soana Tortora (condivisa da Franco Passuello e dalla Presidenza Acli di quel periodo) di aver saputo riconoscere la presenza di energia, di vita in ciò che si era mobilitato nell'esperienza de Un Sorriso per la Bosnia. Che era una esperienza promossa dalle Acli ma che era aperta (si potrebbe dire) a “tutti gli uomini – e le donne – di buona volontà”. Soana intuì che lasciar disperdere quell'energia era uno spreco. E caratterizzò il suo mandato nel cercare di capire come mettere assieme quell'energia con quello che era Ipsia allora, poco più di una scatola. Il mandato di Soana fu quindi, secondo me, un mandato caratterizzato da una intuizione e dall'assunzione di un rischio.
Quando ho iniziato il mio mandato, più o meno 8 anni fa', il primo obiettivo che mi sembra di aver perseguito è stato quello di provare a dare una forma all'energia. Di provare a strutturare una forma organizzativa di Ipsia che non uccidesse o mortificasse l'energia, ma che le desse la possibilità di trasmettersi senza disperdersi. Ipsia in quella fase (ce lo siamo detti molte volte) era un po' informe e disordinata. C'era una tradizione prevalentemente orale, c'era un modello organizzativo basato sull'improvvisazione, non c'erano procedure o prassi...
Ma quando sono stata eletta per la prima volta, 8 anni fa', l'elezione è avvenuta in una assemblea elettiva a Milano, subito dopo l'evento di fine progetto in Kosovo (e tra l'altro con la presenza della delegazione kosovara, come qui, ma compreso Xhema, che mi ha votato in qualità di sede locale). Vuol dire che la coincidenza tra un evento di fine progetto e una Assemblea c'era stata anche allora. Ma, pur organizzando una missione con molte persone in Kosovo per l'evento finale, non ci venne in mente di far coincidere le due cose e di organizzare una Assemblea fuori confine. Oggi l'idea è venuta, l'abbiamo valutata (con qualche resistenza iniziale) e alla fine realizzata e mi sembra di poter dire con soddisfazione da parte di tutti. Che poi fare un'assemblea qui oggi significa tante cose. Significa saperci spostare. Significa sentirci a casa anche fuori confine. Significa un legame specifico con questa terra e con i Balcani, significa provare a tenere assieme la dimensione progettuale e quella democratica... Insomma... forse questa assemblea fatta qui ora in questo modo ci dice che nonostante l'esserci dati una forma non abbiamo smesso di provare a rischiare e ad uscire dagli schemi.
Intuizione, attenzione alla forma organizzativa, assunzione di rischio... Se questi sono i dati in qualche modo iniziali mi sembra che i nodi attorno al quale si è realizzato questo percorso di 8 anni sono essenzialmente 4. E mi sembra che saranno nodi che venivano da prima e che saranno presenti anche dopo. Ed i nuovi organi di Ipsia dovranno decidere come affrontarli.
Il rapporto tra Ipsia e le Acli. Abbiamo attraversato fasi diverse. 8 anni fa' eravamo una Ipsia adolescente che rivendicava autonomia dai genitori. Che chiedeva i propri spazi. Nel tempo abbiamo lavorato sulla relazione. Oggi penso che Ipsia sia abbastanza adulta (anche se, come spesso accade con i giovani adulti di oggi, non autonoma economicamente). E mi pare che in alcuni momenti ci sia persino (da parte di alcuni) la richiesta ad Ipsia di prendersi cura delle Acli. Come di un genitore che comincia ad avere qualche acciacco dell'età. Penso che sia bene che i figli si prendano cura dei genitori. Ma credo che questo sia un mestiere che possono fare soprattutto i singoli (che sono tanti ormai, e anche questo è un cambiamento e un risultato) che a doppio titolo sono presenti sia in Ipsia che nelle Acli. Se ripenso all'ultimo periodo mi pare che in alcuni momenti abbiamo lasciato che dinamiche presenti nelle Acli arrivassero troppo anche in Ipsia. Abbiamo dedicato troppa attenzione e troppe energie a quello che avveniva nelle Acli rubando un po' di attenzione ed energie da dedicare ad Ipsia, al suo oggetto di lavoro. Che apparentemente significa che abbiamo guardato fuori mentre in realtà significa che ci siamo guardati troppo dentro, troppo addosso e non abbiamo guardato all'esterno. Al mondo, ai problemi, a quella realtà su cui abbiamo ancora l'ambizione di poter influire. I nuovi organi sceglieranno la loro strada in autonomia. Ma se posso dire cosa penso, in quella specie di testamento spirituale che sono le relazioni conclusive, io credo che Ipsia e le Acli debbano smettere di guardarsi negli occhi reciprocamente e debbano aiutarsi a guardare verso un orizzonte di prospettiva. O entrambe sono utili a rendere il mondo un posto un po' migliore o entrambe possono finire qui (o a breve) il proprio mandato. Anche perchè fare Ipsia non è qualcosa di diverso dal fare le Acli. Fare Ipsia è uno dei tanti modi di fare le Acli. Nell'ultima presidenza Acli Marco Galdiolo (presidente dell'Unione Sportiva) ha raccontato di come fare UsAcli sia considerato spesso “fare anticamera” prima di fare le Acli. E anche Michele Consiglio nel suo intervento ha parlato dell'opportunità di iniziare a “fare le Acli” in Albania. Io penso che si possa decidere di dare un riconoscimento formale. Ma penso anche che quello che si sta facendo qui in Albania è già, pienamente, fare le Acli. Contiene già tutte le dimensioni (politiche, associative, imprenditive...) del fare le Acli. Non è un'anticamera, non è una parzialità. E' una forma specifica del tutto.
Il rapporto tra essere associazione ed essere impresa (sociale). Dall'inizio ci siamo interrogati su questo. Per chi c'era nella prima fase ricorderà i questionari da riempire con le crocette per capire dove volevamo posizionarci tra l'essere più associazione o più impresa. A me sembra che in questi 8 anni abbiamo provato (anche a dispetto delle difficoltà e del contesto esterno e delle linee di tendenza) a tenere assieme le due dimensioni. L'equilibrio non è facile, anzi, è difficile, non si sa nemmeno se possibile. L'impresa ha esigenze di velocità, di competenza, di decisione. L'associazione ha esigenza di tempo, di partecipazione, di inclusione e processi lunghi. Molte altre ong stanno scegliendo la via dell'impresa (trasformandosi in Fondazioni, assumendo modelli organizzativi differenti). Però se penso al momento di massima crisi, a dicembre, quando abbiamo ipotizzato che Ipsia potesse anche non sopravvivere e ci siamo riuniti in forma allargata a Milano. A me pare che lì sia riemerso in modo chiaro che l'anima di Ipsia è associativa e volontaria. E che, anche a fronte di una crisi economica e finanziaria che potrebbe ridurne le risorse e le attività, in Ipsia resta la volontà di mantenere vivo e vitale questo aspetto. D'altra parte mi pare sia emersa anche la valutazione che la realizzazione di progetti aumenta enormemente l'impatto dell'esperienza volontaria. E aumenta la conoscenza diretta dei luoghi e delle persone. E quindi anche la capacità di prendere parola sui temi senza parlare solo in modo astratto e retorico. Quindi l'anima è associativa. L'impresa permette all'anima di esprimersi di più e meglio. Ma una realizzazione di progetti senza partecipazione associativa, democratica e volontaria non porta da nessuna parte.
Darci un'identità. Definire una mission. Molto del lavoro di questi anni è stato dedicato al cercare di capire e definire la nostra identità, il nostro specifico, la nostra mission. Mi sembra che attraverso percorsi comuni, gruppi di lavoro, riflessioni di alcuni, intuizioni di altri... ad oggi qualcosa esiste ed è anche minimamente consolidata in alcuni documenti e può costituire non un punto di arrivo ma un punto di partenza.
  • L'idea di cooperazione che abbiamo definito comunitaria che attraverso rapporti di parternariato con altri soggetti della società civile italiana e di altri posti del mondo, prova ad innescare processi di cambiamento e di sviluppo e a realizzare laboratori e sperimentazioni di modelli nuovi e differenti di relazione, di formazione, di associazione, di produzione, consumo). E i (solo per noi) famosi 10 punti della cooperazione internazionale per prendere sul serio il motto del congresso e ricostruire comunità e rigenerare il Paese.
  • L'idea di educazione alle relazioni giuste che richiama un processo di trasformazione degli stili di vita che consenta alla società di affrontare le sfide economiche, sociali ed ecologiche del nuovo millennio. In questo senso essa richiama ad una maturazione ed un cambiamento nelle relazioni con sé, con gli altri e con le cose. E che comprende gli ambiti dell'educazione interculturale e alla diversità, dell'educazione ambientale, dell'educazione alla pace e alla nonviolenza, dell'educazione al consumo critico.
  • Con il volontariato come stile del fare che, nelle sue molteplici declinazioni, diviene al tempo stesso luogo formativo prioritario per l'educazione alle relazioni giuste, in quanto occasione privilegiata di sperimentazione personale e contatto con l'alterità e luogo primo di espressione di partecipazione politica ed esercizio di cittadinanza. Non solo perché sottolinea la dimensione attiva del prendersi cura, ma anche perché richiama i valori di un concetto di cittadinanza che vada oltre le divisioni culturali, linguistiche, nazionali: valori quali la solidarietà, la partecipazione, la corresponsabilità. Una cittadinanza locale, che prende sul serio la propria azione per modificare la realtà in cui si vive quotidianamente, ma anche una cittadinanza globale, che sottolinea diritti la cui tutela non può basarsi solo sull’appartenenza etnica o nazionale.
  • L'idea di cosviluppo connessa con la valorizzazione delle competenze e delle caratteristiche dei migranti e con l'idea stessa di migrazione circolare. Ma anche, la dimensione dei diritti e delle riduzione delle diseguaglianzaprima ancora che la semplice lotta alla povertà.
Queste definizioni sono lì. E sono un piccolo patrimonio di elaborazione comune. Pronto per essere riformulato, rimodificato, rielaborato...
Lo stile Ipsia. Quindi Ipsia si caratterizza per essere parte del Sistema Acli, per rivendicare il suo essere al contempo associazione ed impresa sociale, per un'idea di cooperazione, ma anche per alcuni elementi trasversali che mi pare che abbiamo provato a mettere in campo in questi anni.
  • La Partecipazione: Ipsia si riconosce come qualcosa di cui si fa parte (o non si fa parte). Il gruppo Ipsia esiste. E non è gruppo lo staff, o gli organi, o la sede nazionale o le sedi locali o i volontari di Terre e libertà. A me sembra di vedere che esista un gruppo Ipsia che tiene dentro potenzialmente trasversalmente tutti. Di cui ciascuno sente (o non sente) di far parte. A volte il gruppo è chiuso, e tende ad escludere qualcuno. A volte è aperto e sa accogliere. Ma l'esistenza di un gruppo di cui si può essere o non essere parte è una forma di resistenza di un valore non indifferente in un'associazione. E il poterlo essere trasversalmente ai ruoli è un patrimonio che mi pare non debba essere sottovalutato in un'impresa che vuole essere sociale e sperimentare forme nuove di economia...
  • Il formale e l'informale: Mi pare che, rispetto anche ad altre organizzazioni, abbiamo alcune forme democratiche a cui teniamo e che cerchiamo di difendere. Però abbiamo anche un informale e un relazionale che accompagna le regole. Prendiamo ad esempio il tema del vincolo del doppio mandato. Io credo che sia una limite autoimposto essenziale per le organizzazioni e per la loro vitalità. Perchè se non ci fosse un obbligo di passare la palla a qualcun altro dopo 8 anni ci sarebbero sempre le condizioni per evitare di farlo. Perchè si temerebbe che questo fosse letto come giudizio negativo su chi lascia, perchè la crisi, la complessità, i problemi metterebbero sempre in dubbio il fatto che sia il momento opportuno, perchè... La regola del doppio mandato libera da tutti questi dubbi. Dopo 8 anni , qualsiasi sia la situazione, si passa il testimone a qualcun altro. E così l'organizzazione si apre all'elemento della novità, al cambiamento, al rinnovamento. E' un vincolo democratico che aiuta a crescere e a non restare immobili sia le organizzazioni che le persone che le attraversano. Soana, presidente Ipsia prima di me, in preparazione a questa assemblea mi ha mandato un messaggio che esprime comprensione per la delicatezza e fatica del mondo ma poi dice “guarda però che, quando lasciare non è frutto di violenza o di sconfitta, nel lasciare c'è una ebrezza che è anche maggiore del prendere”. Ed è vero. Perchè lasciare è sempre un esercizio di fiducia, e perchè lasciare lascia un vuoto che chiederà di essere riempito. Lascia una sensazione di disagio, di solitudine, di smarrimento, che però sarà quella che attiverà nuove energie che metteranno in moto altri processi altrove. Senza il disagio e senza il vuoto non si mette in moto niente. Senza lasciare non si cresce e niente nasce.
  • La Libertà. Io, lo dico seriamente, senza nessun accento polemico e nessuna volontà di risollevare temi specifici aclisti, ringrazio formalmente Ipsia perchè nell'ultimo Consiglio Nazionale delle ACLI, nel momento in cui è stata proposta la formazione della Presidenza, ha avutola libertà di elaborare, in tutta coscienza, una propria valutazione politica di cosa era opportuno o non opportuno fare e liberamente ha scelto di astenersi. Non è una cosa scontata che il rappresentante di una organizzazione si senta libero di non votare una presidenza di cui fa parte il suo stesso presidente (come ero io in quel momento). Non per giudizio negativo sui suoi componenti. Ma per valutazioni di opportunità politiche generali. Ipsia è un luogo dove fino ad oggi è stato possibile esprimere liberamente le proprie scelte. E liberamente affrontare anche i conflitti. Ci sono stati conflitti anche accesi a volte. Ma non è il conflitto quello che uccide la vita delle organizzazioni a mio parere. E' la non espressione della libertà e l'appiattimento in virtù di paura od opportunismo. L'elemento di vita che caratterizza Ipsia è data anche da questo e spero lo sappia mantenere.
  • L'innovazione. La parola stessa innovazione è stata cruccio e problema per Ipsia perchè a lungo l'abbiamo interpretata come un retaggio di un'epoca precedente in cui si esprimeva una per noi immotivata fiducia cieca nel progresso tecnologico. Poi abbiamo iniziato a riscoprirla. Ed oggi mi pare di poter dire anche di provare, nel nostro piccolo, a ricercarla. Innovazione nella modalità di lavorare (con uno staff sparso per diversi luoghi del mondo e con strumenti magari non rivoluzionari ma spesso più avanzati di altre parti di Sistema Acli o di altre ong della nostra dimensione). Innovazione nel modo di comunicare (cercando di dare spazio alle immagini e non solo alle parole, cercando di valorizzare le esperienze e le storie, provando a utilizzare tutto ciò che aiuta la condivisione). Innovazione nel tenere sempre aperto il cambiamento. Anche pagando il costo di punti di equilibrio sempre precari e instabili e basati sul movimento.
  • L'attenzione alle persone. Devo ringraziare singolarmente tutte le persone di Ipsia. E devo ringraziare Ipsia in generale perchè prima di ricandidarmi 5 anni fa' io avevo esplicitato al Direttivo che davo la disponibilità a continuare ma anche che intendevo provare ad avere dei figli e a fare una famiglia. E mi sembrava che continuare a fare il Presidente e il Direttore di Ipsia ed essere mamma non fosse una cosa possibile. Devo ringraziare tutta Ipsia e in primo luogo Direttivo e Staff perchè mi ha risposto (prima a parole e poi nei fatti): Si può fare, poi vediamo come. E in effetti poi così è stato. Con una serie di fatiche da parte di tutti, ma mi pare che il filo abbia tenuto. E mi pare che Ipsia sia riuscita a mettere in campo con me in questa cosa, ma credo anche con altre persone, una capacità di provare ad accogliere la persona per quello che è, con tutte le sue caratteristiche. Mettendo in campo disponibilità e creatività per gestire gli aspetti magari anche belli ma difficili o problematici o faticosi di ciascuno di noi.
Il passaggio del testimone.
Allora, per concludere, non mi resta una cosa. Quando sono stata eletta presidente Ipsia mi ha regalato un sacco a pelo con un messaggio: il tuo sacco a pelo non è dignitoso per fare il presidente ma non smettere di andare in giro. Io non ho smesso di usarlo, ma visto che in Ipsia c'è la tradizione (specie in Terre e Libertà) del passaggio del testimone, come l'asinello di Restelica, allora il sacco a pelo che ho ricevuto allora passa di proprietà a quello che verrà eletto presidente oggi. In segno di una appartenenza ad una storia comune che muta e si trasforma ma continua.

Per una ricostruzione aclista del decennio 1969-1979 - Domenico Rosati

Per una ricostruzione aclista del decennio 1969-1979  Domenico Rosati  1. Far riaffiorare le informazioni sommerse Cade quest’anno il X anni...