Tra prossimità e sicurezza: social street e gruppi di controllo di vicinato. Forme leggere di associarsi. - Niccolò Morelli



di Niccolò Morelli - Università di Genova.


Abbiamo provato ad osservare l’agire nel contesto della prossimità, nel quartiere. L’agire nell’interazione tra digitale e fisico.  Attraverso la comparazione tra social street e gruppi di controllo di vicinato. Le social street sono persone che non si conoscono, che riconoscono che non conoscersi è un problema e che cercano di creare rapporti di prossimità. Lo fanno tra digitale e reale. Partono da gruppi fb e poi si trovano nella via. 


Le ricerche empiriche mostrano che le esperienze di social street, attraverso la convivialità, nella pandemia hanno svolto anche una funzione di mutuo aiuto, portando la spesa a casa dei contagiati, hanno promosso le balconate del “ce la faremo” e al tempo stesso hanno permesso un aumento della percezione di sicurezza del quartiere: conosco il mio vicino, mi rendo conto che non è brutto e cattivo, sento che mi posso fidare. Mi sento meno solo nella città. Sento che, in ogni caso, anche accadesse qualcosa, ho una rete di supporto.


Le esperienze di controllo di vicinato si sviluppano in modo eterogeneo tra grandi e piccoli centri. 2 casi sono a Bari 2 sono a Perugia, per il resto sono esperienze presenti nel nord Italia. In forme diverse si occupano della sicurezza del quartiere. Si ispirano ai gruppi USA, poi diffusi in Inghilterra e in tutta Europa. In Italia sono presenti dalla fine anni 90 e non vanno confusi con “le ronde”. Le esperienze di controllo di vicinato in realtà sono più che altro degli occhi puntati sul quartiere. Non potendo pattugliare fisicamente si sviluppano online, soprattutto su whatsapp e segnalano potenziali minacce alla sicurezza. Per chi partecipa cresce la sicurezza percepita. 


E’ interessante il fatto che siano due facce diverse di uno stesso modo di prendersi cura del quartiere. Le sociale street nascono come spontaneismo dei residenti. I controlli di vicinato nascono anche su spinta delle istituzioni. Su Modena ad esempio ci sono 93 gruppi, moltissime iniziative. Generano attivismo, fungono da deterrente di minacce e tutti e due, a diverso titolo, si occupano di sicurezza. In tutte e due c’è interazione tra digitale e online. Come diceva Ivana Pais, oggi il digitale è una dimensione imprescindibile. La nostra vita si sviluppa a cavallo tra le due dimensioni: offline e online. Pe questi due fenomeni il digitale è la chiave di ingresso. Conosco persone che avrei fatto fatica a conoscere, mi abbassa l’imbarazzo di andare a bussare al vicino. 


Nelle social street I fondatori provengono prevalentemente dall’associazionismo. Sono persone già ingaggiate, che interpretano modi consolidati di proporre partecipazione. In maggioranza femminile, under 40, con figli. Perché l’agire nel contesto di prossimità è conciliante con compiti di cura (che continuano a gravare prevalentemente sulla dimensione femminile). Propongono pratiche di convivialità. Uno degli elementi centrali è voler conoscere, creare un senso dello stare insieme ed un’idea di ordine sociale del quartiere che passa attraverso la socialità e la quotidianità. Da questo si rafforza la sicurezza. 


Nel gruppi di controllo di vicinante, i fondatori sono eterogenei. Molte persone che non hanno mai fatto associazionismo. Sono uomini e donne in egual misura. Sono in prevalenza 50-60 anni. L’idea base è che attraverso questi gruppi mi prendo cura, sono pienamente residente del mio quartiere e della mia città. Oggi permane l’idea che essere buon cittadino passa attraverso la partecipazione. Questa è vissuta come una forma di partecipazione. L’incontro fisico è scarso. La partecipazione resta sporadica, in base all’occasione e all’interesse. Non è fare parte in maniera strutturale di qualcosa. 


Il contesto della prossimità è elemento centrale e continua ad essere fortemente aggregante. Non è scontato il fatto che troviamo in modalità diverse forme di aggregazione in cui l’elemento del quartiere è elemento centrale. E’ interessante, in una società in cui siamo sempre più mobili, in cui sempre più ci spostiamo. C’è un legame con il territorio in cui siamo. Se torniamo nel posto da cui proveniamo ci rendiamo attivi con il movimento dei south worker, se siamo fuori sede ci attiviamo per il posto in cui siamo arrivati. Dove ci spostiamo, in ogni caso cerchiamo un modo di relazionarci con il contesto. Però è un modo molto particolare. E’ un associazionismo episodico, non strutturato, leggero. Con bassi costi personali di entrata e uscita. Questa è una modalità che risulta attrattiva. So che non devo partecipare all’assemblea di 3 ore per discutere il bilancio… non devo fare mille riunioni.. 


L’elemento della sicurezza viene percepito come fattore aggregante. Non è l’identità (sono di quel quartiere) non è la comunità (voglio creare rete con) è la sicurezza. Mi voglio preoccupare del fatto che questo quartiere sia sicuro, che io lo possa percepire come sicuro, che i miei familiari possano viverlo come sicuro. Questo ci dice molto delle nostre società. L’elemento della sicurezza è attrattivo anche per persone che non hanno fatto percorsi civici, anche per persone che hanno fatto percorsi civici. Perché? E una questione di forme? E’ una questione di scopi? E’ una questione di funzioni? 


Anche queste forme (offline/online) comunque non riescono a mobilitare moltissimo i giovani, non trovano l’interesse dei giovani. C’è il fatto che il giovane non ha casa di proprietà, non è fermo in un luogo. Il suo investimento sul territorio non vede un ritorno sul lungo periodo. Possono essere molte le motivazioni, ma sono comunque elementi che nell’analisi dobbiamo fare notare.



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