La passione delle mille pazienze




Vi propongo qualcosa a partire dal Vangelo, mi è stato detto che siete essenzialmente responsabili organizzativi, gente impegnata nel fare, nell’organizzazione, come supplemento a quello che già ciascuno ha da fare in famiglia, in casa, magari ad attività lavorative di vario genere. Quindi siete persone impegnate in ambiti che delle volte possono sembrare anche un po’ aridi, un po’ tecnici, solo organizzativi. Però dentro ciò che fate c’è qualcosa di importante da fare e da vivere. 

Vi propongo, come prima cosa, questi testi: “La passione delle pazienze” di Madelein Delbrel e le pazienze di Marta. Detto in altri termini, la passione, la nostra passione. E le pazienze, le vostre pazienze. 

La passione, la nostra passione. Noi sappiamo che deve venire e intendiamo viverla con una certa grandezza. Il sacrificio di noi stessi, noi aspettiamo che ne scocchi l’ora, sappiamo di dover essere consumati o consumate, come un filo di lana tagliato dalle forbici, così dobbiamo essere separati, come un giovane animale che deve essere sgozzato.    

La passione, noi l’attendiamo... ed essa non viene. Vengono invece le pazienze. Queste briciole di passione che hanno lo scopo di ucciderci lentamente per la tua gloria. Di ucciderci senza la nostra gloria. Fin dal mattino vengono dannati a noi, sono i nostri nervi troppo scattanti o troppo lenti, l'autobus che passa affollato, il treno che si blocca a Firenze, i bambini che imbrogliano tutto... sono gli invitati che nostro marito porta a casa e quell’amico che, proprio lui, non viene, il telefono che si scatena.  

Sono quelli che noi amiamo che non ci amano più. La voglia di tacere e il dovere di parlare, il dovere di tacere e la voglia di parlare. Il voler uscire quando si è chiusi e il rimanere quando bisogna uscire. E' il marito, al quale vorremmo appoggiarci che diventa il più fragile dei bambini.  E' il disgusto della nostra parte quotidiana. E il desiderio febbrile di quanto non ci appartiene.  


Così vengono le nostre pazienze. In ranghi serrati e in fila indiana e dimenticano di dirci che sono il martirio preparato per noi. Noi le lasciamo passare con disprezzo. Aspettando, per dare la nostra vita, una occasione che valga veramente la pena. Perchè abbiamo dimenticato che come ci sono rami che si distruggono con il fuoco, così ci sono tavole che i passi lentamente logorano e cadono infine segatura. Che se ci sono fili di lana tagliati netti dalle forbici, così ci sono i fili di maglia che giorno per giorno si consumano sul dorso di chi li indossa. Ogni riscatto è martirio. Ma non ogni martirio è sanguinoso. E' la passione delle pazienze. 

Mentre erano in cammino entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; Marta invece era tutta presa dai mille servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse "Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti". Ma Gesù le rispose: "Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore. Che non le sarà tolta". 



Forse vale anche per noi, che ci preoccupiamo e agitiamo per molte cose. E siccome questa è la nostra vita, nonostante tutti gli sforzi che facciamo, c’è il rischio permanente che ci sentiamo in difetto. Che sentiamo che dovremmo fare qualche altra cosa. Pregare di più. Fare più silenzio. Fare meno cose. E puntualmente ce lo riproponiamo. E puntualmente la vita continua come prima. Di fatto anche la vita di Marta è continuata come prima. Il vangelo di Giovanni al capitolo 12, quando Gesù va a casa di Marta, e c’è l’incontro con Maria che lava i piedi di Gesù e di Marta si dirà che lo serviva. E’ importante non dimenticare che questa espressione “lo serviva” richiama quello che Gesù dice di sè “Il servo” “Sono venuto per servire” “Sono in mezzo a voi come colui che serve”. Il mestiere del servire è il mestiere di Gesù. 

Come teniamo insieme queste cose? Visto che certamente il Vangelo non vuole, ormai l’abbiamo capito, canonizzare le suore di clausura, tantomeno vuole canonizzare i preti, così come non vuole canonizzare chi fa mille cose per il bene comune e per una buona organizzazione, come ad esempio nelle Acli. Non c’è nessuna canonizzazione in questo brano. 

Ci sono molti carismi. E c’è un carisma fondamentale che è l’amore. Un carisma che, purtroppo, non appartiene a nessuna categoria specifica. Non c’è nessuna categoria per cui possiamo dire: “facendo così, sappiamo che siamo a posto”. E’ importante che non ci sentiamo del tutto a posto, cioè che non ci sentiamo superiori ad altri, in nessun ambiente, in nessun mestiere, in nessuna vita. Siamo persone che cercano di vivere dove sono il carisma fondamentale dell’amore.  Su quello saremo giudicati. 

Ma, in concreto, c’è un qualche stile di vita che possa aiutarci? Vi propongo (forse l'avrete già sentito, ma quando si parla di Vangelo non c’è mai niente di nuovo) una formula cara ai gesuiti: contemplativo nell’azione. Una formula classica della Compagnia di Gesù è la spiritualità di immersione nel mondo. Lo stile del vivere immersi nel mondo è importante per noi, ma non c’è niente di riservato, non c’è copyright, vale per tutti, è lo stare contemplativi nell’azione. L’idea è, in concreto, l’essere sempre uniti al Signore. C’è un versetto di Paolo nella lettera ai Galati cap. 2 versetto 20 che dice : “non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita che vivo, la vivo nella fede in Dio che mi ha amato e che ha consegnato se stesso per me”. Il cuore della vita cristiana deve essere giocato nella domanda di poter fare questa esperienza. Che ciascuno di noi possa arrivare a dire: mi ha amato e ha consegnato se stesso per me. Non per te. Per me. Non per il mondo, non per tutti. Per me. Lo ha fatto per tutti. Ma è importante che io non annacqui questa affermazione in un generico amore universale. E’ importante che io cerchi e chieda l’esperienza di poter dire che mi ha amato, cioè che ha consegnato se stesso per me. L’amore è sempre un consegnarsi. Ha consegnato se stesso per me. 

Contemplativi nell’azione. Vuol dire essere uniti a Cristo non solo quando prego, non solo quando contemplo la vita del Signore, non solo quando ho il Vangelo davanti. Essere uniti a Cristo nell’azione. Sant’Ignazio, il nostro fondatore come gesuiti, dava una relativa importanza alla preghiera, perchè l’azione, scelta nel Signore attraverso il discernimento, era qualcosa che avvicinava a Dio come la preghiera. Ciò che importa non è che preghiamo. Ciò che importa è la relazione personale con il Signore, che cresca nella nostra vita. Cosa mi aiuta di più a crescere nell’esperienza personale del Signore? Sant’Ignazio dice ti aiuta la preghiera ma non solo. Ti aiuta questo e quello. Dipende, da come fai questo e da come fai quello. 

Noi abbiamo la percezione che attorno a noi ci siano cattolici atei, cioè cattolici la cui vita è in palese contraddizione con il Vangelo, magari ostentando vita evangelica o segni religiosi. E ci sono altri, dall’altra parte, anche ugualmente persone che pensano di essere atee ma la cui vita… Quello che è fondamentale è questo camminare verso una relazione sempre più profonda e personale con Gesù di Nazareth, in cui c’è la pienezza della divinità. 

Essere contemplativi nell’azione è detto anche in una altra maniera. Bisogna cercare e trovare Dio in tutte le cose. Trovare Dio presente in tutte le cose e in tutte le persone. Che non è un dipingere Dio sulla faccia dell’altro. Vedere Cristo nei fratelli. Non mi entusiasma questa formula. Io credo che siamo chiamati a cogliere la presenza del Signore dentro i fratelli. Per dare una mano ai fratelli ed aiutarli a crescere nella esperienza di quella presenza. Io credo che Gesù non amasse Dio nei fratelli. Io credo che Gesù non dipingesse il volto del padre sulla faccia dei fratelli per amarli. Gesù amava i fratelli. Io non sono entusiasta se uno mi dice che mi ama perchè vede Dio in me. Sono entusiasta se uno dice che mi ama perchè ama me. E allora il cammino è questa intelligenza profonda di situazioni e persone in cui trovare il Signore e aiutare le anime. Aiutare la verità profonda della persona. 

Nella Bibbia non esiste definizione dell’amore. Perchè Dio è amore. Ma se vi piace una definizione di amore è aiutare l’altro a realizzare la sua verità. La sua verità. Che io non so quale sia. A volte neanche lui o lei sa quale sia. Io dò una mano a realizzare la sua verità. Questo è aiutare le anime. E’ lo scopo fondamentale per cui Sant’Ignazio ha messo in piedi la Compagnia di Gesù. 


Trovare Dio in tutte le cose significa trovare il senso per me di tutte le cose. San Paolo ai romani capitolo 8 versetto 28 dice: tutto coopera al bene di coloro che amano Dio. Tutto coopera al bene. Tutto vuol dire tutto. Non vuol dire alcune cose buone. Ma vuol dire tutto. Allora la domanda è: come faccio a far sì che anche la cosa più negativa che ci sia possa cooperare per me nel mio cammino di vita? Possa cooperare al mio bene? Trovare Dio in tutte le cose è trovare il senso attraverso il quale le cose aiutano il mio bene. Etty Hillesum. E’ una ebrea olandese, morta in un campo di concentramento ad Auschwitz. Etty dentro il campo diceva: la vita è bella e merita di essere vissuta. E lì dentro, in due anni di vita, dai 27 ai 29 anni, ha fatto un cammino straordinario trovando cosa Dio le diceva nella sua situazione, dell’essere ebrea sotto il nazismo. Un altro personaggio che cito spesso è il pastore Bonhoeffer che diceva: nei fatti stessi c’è Dio. Nei fatti stessi c’è Dio. Questo lo diceva in carcere, un carcere da cui sarebbe uscito solo per essere ucciso. Tutto sommato sapendo come sarebbe finita la sua vita. Quelli erano i fatti per lui. E lui diceva: nei fatti stessi c’è Dio. Perchè Dio non mi garantisce di salvare la pelle. Dio mi garantisce la pienezza della vita, nella misura in cui la mia vita va avanti. Si può non avere dove posare il capo, si può non avere il tempo di mangiare. Ma si può anche nel non avere dove posare il capo essere sempre uniti al Signore. Sempre uniti al Padre come lui, come Gesù che non aveva dove posare il capo e non aveva il tempo di mangiare. Ma questo non gli impediva di essere radicalmente unito al Padre, sempre. Questo è il cammino del contemplativo nell’azione. Di chi cerca Dio in tutte le cose è di chi è sempre mosso dalla ricerca di Dio nel qui e nell’adesso. Cosa il Signore mi chiede, qui e adesso? MI chiede il maggiore amore possibile, qui e adesso. La domanda è: dove sta? Questa domanda riempie di senso, credo, ognuna delle mille pazienze quotidiane che ci vengono chieste, ognuna delle mille pazienze quotidiane che vi vengono chieste. 

Padre Rotelli ai responsabili della funzione sviluppo associativo Acli.

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