Non è facile trovare la chiave giusta per intervenire qui oggi… perché sono stata tra coloro che hanno condiviso l’esperienza della presidenza nazionale negli ultimi 3 anni, assieme a Gianni ed Emiliano. E in modo diverso anche assieme a Roberto. Ma sono anche nata in provincia di Varese, sono socia di un circolo di Milano, sono delegata al congresso Nazionale ed oggi sono qui come ospite. E in più vivo stabilmente a Roma. Insomma… un’anomalia, un ibrido…
A partire da quel che sono, provo a dire qualcosa cercando
di essere utile al dibattito…
I congressi.
Stamattina
mia madre, che ha 50 anni di esperienza in materia, ha detto
“Ma in fondo cos’è un congresso? Un
grande spreco di energia!”. Eh…guardiamoci in faccia, mica facile
contestare questa affermazione!
Il cambiamento.
Abbiamo
bisogno di trasformazione. Abbiamo bisogno di cambiamento. In fondo i congressi
sono un modo di gestire i cambiamenti. E il cambiamento come avviene?
Ci vuole
un’idea.
Ci vuole una declinazione dell’idea (un programma, una linea... e quindi la partecipazione di
tutti coloro che da diversi punti di vista possono portare un pezzo di sapere).
E ci
vuole di raccogliere, o meglio, di costruire le condizioni di consenso per
realizzarlo.
Stamattina Gianni diceva “abbiamo sistemato i conti, abbiamo
messo in ordine cose che erano in disordine”. Ed io sono d’accordo con lui. E’
stato fatto. Ed era importante farlo. Quindi voi potete pensare che è tutto a posto? No! Ci resta da
ridisegnare il modello complessivo di sostenibilità. Perché siamo del tutto insostenibili. Ma, sia
chiaro, non è che non è sostenibile la sede nazionale. Sarebbe troppo facile. Non
siamo sostenibili tutti. Nel complesso.
La sostenibilità.
Siamo insostenibili politicamente, associativamente,
socialmente, economicamente, organizzativamente… La sostenibilità è una caratteristica
multidimensionale (classicamente ambientale, economica e sociale. Per noi
potremmo dire associativa, politica e imprenditoriale) che contiene e supera i
concetti di crisi, crescita e sviluppo. E’ uso responsabile delle risorse (economiche
e non, quindi pure l’energia, l’entusiasmo, la fiducia, la democrazia…) e capacità
di rigenerarle. Ed ha come obiettivo una modalità di soddisfacimento delle
esigenze presenti in grado di non compromettere le possibilità future.
Non possiamo fare a meno dei congressi. Vorrebbe dire fare a
meno della democrazia. Ma è qui che sta la chiave per rispondere a mia mamma.
Non è la quantità di energia impiegata il problema. E’ cosa produci. E se le
energie che usi sono finite o rinnovabili. Se stai lavorando sul presente o sul
futuro. Per te o per la comunità.
Oggi usiamo tantissime energie per questioni che riguardano
noi stessi e che non producono. Questo è insostenibile.
E allora la prima idea del cambiamento, l’idea di
trasformazione che ci serve, secondo me è uno spostamento, un decentramento.
Ma, mi spiace deludere, non è uno spostamento da nazionale a territorio. E’ uno spostamento da dentro di noi a fuori di
noi. Se non torniamo a indignarci, arrabbiarci, usare le energie per ciò che
sta fuori di noi, non abbiamo futuro ed è davvero tutto uno spreco di energie…
Questa idea basta ad indirizzare il cambiamento? No, certo
che no. Ma è la precondizione. Indispensabile, per tutto il resto.
La responsabilità.
Daniele Rocchetti ha citato
Bohnoeffer. In questo periodo io mi aggrappo molto a Bonhoeffer. Aiuta a pensare, a trovare un senso nel quotidiano. Aiuta anche a ridimensionare. Va bene che per noi sono importanti, e va bene pure starci male e
provare di tutto ma… alla fine stiamo sempre parlando solo delle Acli. E ci sono
tragedie più grandi…
“Per chi è responsabile la domanda ultima non è: come me la cavo eroicamente in quest’affare, ma: quale potrà essere la vita della generazione che viene. Solo da questa domanda, storicamente responsabile, possono nascere soluzioni feconde, anche se provvisoriamente molto mortificanti”.
Per me il criterio per muoversi è questo. “Cosa permette maggiormente
l’avvio di un processo futuro”. Processo necessariamente lento, e di cui i
frutti sicuramente li raccoglieranno altri, non noi.
Il provvisorio è probabilmente mortificante. La dimensione
della fecondità è riservata al tempo futuro. Ma il criterio è il seme della
fecondità futura.
Vorrei dire una cosa sull’idea. Anche se capisco che oggi sembra fuori tema. Provo a farlo così…
Una volta c’era l’idea che valesse la pena di trovare un
modo originale di tenere assieme capitale e lavoro. Tentando qualcosa che non
fosse solo la delega al pubblico o ricerca di profitto e libertà di mercato. E’
ciò da cui in fondo è nata la cooperazione sociale, il terzo settore… Oggi, che
ne è di quella idea? Ha ancora senso?
Una volta c’era l’idea che mettersi assieme tra persone
fosse un valore. E che il mettersi in mezzo di coloro che si erano messi
assieme fosse un valore. Valore per il singolo, per il governante e pure per la
società nel suo insieme. E’ ciò di cui parliamo quando parliamo di corpi
intermedi…
Oggi, che ne é di quella idea? Ha ancora senso?
Ecco, io credo che ci sia bisogno di tenere aperte queste
due domande.
E credo che le Acli dovrebbero provare a farlo in modo
nuovo, specifico ed originale.
Non dando due risposte separate. Da una parte l’associazione
e il suo essere corpo intermedio. Dall’altra le imprese e il loro dare lavoro (dipendendo
dal pubblico o stando sul mercato).
Credo la sfida oggi sia tenere assieme le due cose. Essere una organizzazione sociale unica, di
produzione e lavoro e di rappresentanza. Di innovazione sociale e coesione.
Dico organizzazione sociale. Perché ci manca il termine. Ma
è sempre così per le cose nuove. Non esiste il termine, prima che nascano.
Non credo si tratti di rappresentare i lavoratori, i poveri,
gli ultimi o il ceto medio, oggi.
Oggi la sintesi di fedeltà a democrazia, lavoro e chiesa, il povero da rappresentare, è la tensione
allo stare assieme di una società che oggi è liquida e domani potrebbe essere
addirittura gassosa. E’ l’idea del
popolo come concetto collettivo in divenire.
Oggi intermediare non vuol dire essere un portavoce, né un
contenitore. Vuol dire provare ad essere un enzima, un catalizzatore. Qualcosa
capace di produrre i processi necessari a tenere assieme senza bloccare nello
status quo, ma anzi attivando le trasformazioni sociali necessarie.
Per uscire dalla metafora, oggi la rappresentanza non è data
dalla delega in bianco che qualcuno ci consegna dal basso o che qualcuno ci
riconosce dall’alto. E’ data dalla
capacità di stare in modo significativo, coerente e competente nelle comunità.
Di attivare processi, di costruire legami, di individuare risorse e di
immaginare modalità concrete di co-costruzione di risposte e soluzioni. E
questo non è un mestiere separato da assegnare all’associazione mentre i
servizi fanno altro. E’ un mestiere complessivo. Per l’organizzazione
tutta.
E’ l’idea che serve? E’ il nuovo grande compito possibile?
Non lo so. Ma è un pezzetto di idea che metto lì, da aclista, per il dopo
congresso. Perché possa eventualmente connettersi con altri pezzetti di un
lavoro comune.
(E' ricostruito a posteriori, quindi non è fedele alla lettera. Questo è comunque il senso di ciò che ho detto al Congresso Acli Lombardia)