Premessa:
- Pace non è assenza di guerra. Anche se oggi l’assenza di guerra sarebbe già un risultato. Perché viviamo in un mondo segnato da guerre che non solo rischiano di diventare normalità, ma che rischiano di innescare continue escalation…
- Pace non è un tema in più. Pace vuol dire relazioni sane, giuste, inclusive, dentro i luoghi di lavoro, nei quartieri, nelle comunità, nelle famiglie, tra le generazioni, le persone ed i popoli. Tra persone ed ambiente. Tra persone e beni comuni e risorse. Tutto è connesso, come diceva Papa Francesco. Non è un modo di dire. È la necessità di pensare alle cose in un modo nuovo. Affrontare i singoli temi, uno per uno, non funziona più. Pensare globalmente, agire processualmente e sistemicamente.
Come educare alla pace in tempo di guerra? Alcuni apprendimenti di stile e approccio che come Acli stiamo maturando e che possiamo provare a mettere in comune:
1. Il rischio principale per le persone, oggi, è sentirsi impotenti. Educare alla pace, oggi, significa rifiutare l’idea di essere impotenti. Vuol dire offrire alle persone esperienze di potere. Potere non è un brutta parola. Potere non è solo un sostantivo, è anche un verbo. Poter fare. Poter incidere. Di fronte a ciò che accade, ognuno di noi non è impotente. Educare alla pace, oggi, è offrire occasioni per fare esperienza che “si può”. Anche cose piccole, anche cose apparentemente marginali. Ma sperimentare che “si può” è oggi educare alla pace.
2. Noi non siamo fatti solo di testa. Siamo anche corpo ed emozioni. Educare alla pace, educare in generale, oggi, significa che non si può pensare solo a momenti frontali, di soli contenuti intellettuali. Serve organizzare contesti, in cui possano avvenire esperienze che possano essere prima vissute, poi rilette. Esperienze che coinvolgano anche il corpo e che mettano in moto le emozioni. Parlare di esperienza significa parlare di qualcosa di reale, non solo simbolico. Una camminata di 10 metri, ad esempio, è bella, ma simbolica. La Marcia Perugia Assisi, 30 km a piedi, è una esperienza. Alla fine, quando si arriva ad Assisi, si è stanchi, fanno male le gambe. E durante il tragitto la stanchezza è condivisa con altri. Non deve per forza essere una camminata. Ma deve essere un’esperienza.
3. Educare alla pace, oggi, è coltivare la speranza. Come diceva Vaclav Havel. La speranza non è ottimismo (l’ottimismo, oggi, sarebbe davvero da sciocchi). La speranza non è la convinzione che ciò che stiamo facendo avrà successo. Non è nemmeno l’urlo dai balconi “andrà tutto bene”. La Speranza è la certezza che ciò che stiamo facendo ha un significato. La Speranza non è una predizione del future. E’ un orientamento dello spirito e del cuore. Trascende anche ciò che immediatamente si sperimenta, e si ancora da qualche parte, oltre l’orizzonte.
4. Per educare alla pace, ho bisogno degli altri. Non si tratta solo di fare rete. Non è solo una questione di coordinarsi. Non è nemmeno solo imparare a convivere tra diversi. Educare alla pace, oggi, è difficile. Non possiamo farlo da soli non per generosità, ma per necessità. Abbiamo bisogno degli altri per affrontare i nostri stessi momenti di sconforto, per non perdere la speranza, per cercare il senso, per superare i momenti in cui ci sentiamo anche noi impotenti. Abbiamo bisogno degli altri perché da soli non ce la facciamo. Gli altri, chi? Gli altri. Tutti gli uomini (e le donne) di buona volontà. Tutti, anche i diversi da noi, anche chi è nutrito da una cultura diversa, chi ha vissuto esperienze diverse, chi è mosso da motivazioni diverse. Gli altri da noi, con cui possiamo fare anche solo un tratto di cammino. Perché? Perché da soli non ce la facciamo. E perché “Pace a tutti gli uomini di buona volontà” che oggi è persino diventato “Pace a tutti gli uomini, amati dal Signore”. Dove amati dal Signore non indica un sottogruppo specifico, ma indica una caratteristica di tutti gli uomini (e le donne).
5. Bonhoeffer scriveva: “Nessuno può attraversare una tragedia e sopravvivere ad essa senza sapere di stare a cuore a qualcuno.”. Tolstoj, dall’altro punto di vista, diceva: “Se senti dolore, sei vivo. Se senti il dolore degli altri, sei umano”. Riscoprire la dimensione di umanità, riscoprire l’idea base del personalismo comunitario, della persona alla base di tutto e della comunità come unità base delle persone, oggi non è un ammennicolo. Oggi che l’Intelligenza Artificiale e gli algoritmi prendono potere, oggi che tutte le dichiarazioni internazionali di tutela dei diritti sembrano essersi disintegrate. Quale è la base possibile su cui poggiare come fondamento? Il personalismo cristiano. L’essere umano. L’identità umanità come base dei diritti.
6. Educare alla pace, oggi, vuol dire organizzare iniziative non compiute. Vuol dire lasciare spazi perché le persone (i partecipanti, non solo le altre organizzazioni partner) possano mettere in campo qualcosa di proprio. Educare alla pace è educare alla democrazia e quindi alla partecipazione. Partecipare vuol dire poterci mettere del proprio. Educare alla pace è educare al fatto che serve che ognuno di noi si mobiliti e faccia la propria parte.
Alcune esperienze Acli che sono diventate esperienze o che possono diventare opportunità, anche per un tratto di strada comune:
- Da 4 anni come Acli abbiamo raccolto l’invito della Caritas per un’esperienza estiva di accoglienza in Italia di ragazzi ucraini. Sono momenti in cui coinvolgiamo ragazzi italiani in una sorta di scambio. Mettere in contatto persone con persone. Costruire relazioni. Andare oltre il numero e la narrazione astratta, incontrare persone concrete. E’ educazione alla pace. I ragazzi ucraini sentiranno di stare a cuore a qualcuno, anche oltre frontiera. I ragazzi italiani hanno storie e persone dietro alle notizie asettiche della tv o di internet. Farlo con Caritas è un cammino comune.
- Ne ha parlato ieri anche don Fabio Corazzina. Per… corri la pace. Se vuoi la pace pedala. Oltre la notte…. E tante altre. Sono camminate, pedalate, mostre, seminari interattivi che le diverse Acli in giro per l’italia, in rete con altri, territorialmente, stanno sperimentando. Non siamo ovunque. Non sempre riusciamo. Ma dove riusciamo sarebbe bello che almeno alcune di queste cose potessero essere raccontate, sarebbe bello che potessimo ascoltare esperienze simili, per prendere spunto, per scambiare strumenti e tecniche, per imparare anche dall’esperienza altrui.
- Fabula Mundi, corso di geopolitica… In giro per l’italia ci sono vari percorsi di approfondimento tematico. E sappiamo che altre organizzazioni ne hanno di simili. Qui si sta ragionando sulla ripresa di scuole di pace e sul desiderio che queste scuole di pace siano popolari. Come Acli ci interessa sicuramente partecipare, anche mettendo in rete ciò che già stiamo facendo, oltre che pensando assieme cose nuove.
- Peace at work. Magari l’avete già sentita, stiamo organizzando una carovana che attraversi tutta l’italia, declinando assieme pace e lavoro. Proprio con l’idea di portare l’attenzione alla pace fuori da solo “gli addetti”. Abbiamo le informazioni sul sito, magari sul vostro territorio siete già stati interpellati. In ogni caso se alle varie iniziative, che in ogni posto hanno una declinazione diversa, si riuscisse ad avere la compartecipazione delle vostre organizzazioni, sarebbe sicuramente valore aggiunto. Gli interlocutori concreti sono le Acli locali in giro per l’italia.
- Camminata per la pace Firenze. Ogni anno realizziamo un convegno di studi, per approfondire dei temi che ci stanno a cuore. Quest’anno sarà a Firenze, a 25-27 settembre. E abbiamo deciso, il venerdi pomeriggio, di inserire una camminata per la pace che parta dalla città e arrivi a San Miniato al Monte. Su questa tappa nello specifico ci interessa invitare tutte le persone a partecipare e tutte le associazioni a co-promuovere.
In conclusione
• La pace non si firma solo nei trattati, si tesse giorno dopo giorno: nel lavoro, nell’amicizia, nella politica, nel volontariato, nelle reti tra popoli diversi…
• La pace non si può fare da soli. Abbiamo detto prima. Educare alla pace oggi è anche uscire dai propri steccati. Fare cose con altri, anche diversi da noi. Perdere tempo ed energia per non fare da soli. Nelle parrocchie, sui territori. Non avere paura di trovare compagni di viaggio differenti. Non avere paura di essere ponti tra mondi differenti… A volte pensiamo che l’ostacolo al fare insieme sia il non rispetto reciproco. Ma spesso è anche, banalmente, il fatto che ognuno di noi ha la sua agenda, le sue priorità, il suo calendario e le sue scadenze. Fare assieme vuol dire scegliere di impostare la propria vita lasciando lo spazio perché l’altro si possa insinuare nei nostri programmi.