Accoglienza - Don Luigi Ciotti ai promotori sociali Patronato Acli


Nel tempo cambiano le forme, le modalità, ma per me è fondamentale continuare a stare nella vita. Porto la mia esperienza. Una esperienza condivisa. Che non è solo accoglienza delle persone ma è una accoglienza che vuole essere viva, che deve avere un travaso continuo con la dimensione culturale e con l’impegno politico per la dignità e per i diritti delle persone.

Quando ho sentito la fotografia fatta con i vostri dati, le vostre sensazioni, il vostro  cammino, ho ripensato a quello che ho visto io e che ho vissuto io. 

Le motivazioni al servizio, voi me lo insegnate, non si danno una volta per sempre. Le motivazioni al servizio hanno sempre bisogno di essere rivisitate, aggiornate, rafforzate. Il campanello di allarme è il rischio che diventi abitudine. Il servizio diventa una delle cose che si fanno. C’è il rischio, soprattutto nel volontariato che ha il faccia a faccia con la storia delle persone, che diventi una cosa data per scontata. Invece le persone che incontriamo sono persone, ognuna porta le sue fatiche. Il campanello di allarme è quando diventa un tran tran. Serve la forza di fermarsi, per rileggerci dentro. Per rinforzare le nostre motivazioni e aggiornarle. Molte cose che abbiamo fatto negli anni, oggi non reggono più l’urto del tempo. È necessario farci amico il tempo. Molte cose sono state cose belle, importanti, fondamentali, in un momento storico. Ma oggi molte cose sono profondamente cambiate e pongono uno scatto in più. Chiedono a noi di aggiornare le nostre motivazioni. C’è un bisogno di nostra formazione, necessaria per leggere l’oggi, i percorsi nuovi, le condizioni che si affacciano dentro i nostri contesti.  

Ascoltando quello che è stato detto ho pensato, anche per me, anche per noi, che chi vive in contesti volontari, ha la necessità di ri motivare sempre, di rimettersi in gioco, di non lasciarsi travolgere, perché diventano abitudini, meccanismi... Si affacciano oggi volti nuovi, situazioni nuove, in un contesto che sta profondamente cambiando. Non basta la volontà di fare servizio, serve formarsi.

Ascoltando ho pensato al significato del volontariato, del servizio. Per certi tipi di servizio è anche necessario fare investimenti, perchè la legge chiede anche figure professionali. Ma guai se nei nostri gruppi viene meno il servizio, il volontariato. Forse dobbiamo sempre ridircelo. Mi ha fatto piacere sentirlo. Il volontariato, prima di espressione di solidarietà, l’architrave della cittadinanza, il muro portante della cittadinanza. Questa società ha bisogno di volontariato.

Il volontariato è la compresenza di 4 elementi che non sono dati per sempre, ma che hanno sempre bisogno di essere rafforzati: 
- La gratuità. La meraviglia. 
- Il radicamento nella realtà. La lettura della realtà che abbiamo di fronte. 
- La cura delle relazioni. 
- La dimensione politica dell’agire. Per il cambiamento. 

Necessario oggi più che mai, verso una società più giusta, più sostenibile, più umana. 

Una convivialità che demercifica - Tommaso Vitale


Per ripercorre quali sono i grandi punti di forza della ricerca sull’Associazionismo abbiamo bisogno di una visione attraverso il tempo. 

La prima ondata è stata di chi ha guardato al rapporto tra l’associarsi e la politica. Il fuoco importante di questo sguardo, in una stagione molto lontana, negli anni 50, in Italia e come in Europa, è stato quello di chiedersi che rapporto c’era tra associazionismo e mondo del comportamento politico, mondo dei partiti. Diciamo che è stata una stagione importantissima, che continua ancora adesso, importantissima, con il rischio che alla fine in realtà volevamo capire la dinamica del sistema politico e, per capirla meglio, guardavamo alle relazioni tra associazioni e sistema politico. 

La seconda ondata ha guardato alla socializzazione delle classi dirigenti. Ha guardato all’associazionismo per capire se e come partecipare ad una associazione dava un po’ di esperienza di capacità di gestione, di mediazione, di apprendimento di modelli economici, di mobilitazione, di comprensione più larga. Se dava cose utili per diventare classe dirigente. Cosa importantissima, per vedere tutte le funzioni dell’associazionismo, anche in termini di mobilità ascendente. Ma con il rischio di minorare l’importanza in sé dell’associazionismo, perché in realtà quello che volevamo capire era la dinamica dell’elite. 

Una ulteriore ondata è stata quella dell’analisi della composizione interna delle associazioni. Fatta di ricerche molto belle, molto importanti. Per capire, settore per settore, nelle diverse parti di Paese, chi c’è dentro l’associazionismo. Chi c’è in termini di statuto socio-professionale, di genere, di età ed altro. In molti casi quello che interessava capire era la condizione della donna. Cercare di vedere se e come l’associazione diventa luogo di emancipazione femminile o luogo di riproduzione del patriarcato. Oppure ciò che interessava erano i giovani. Oppure gli anziani. Il fratello maggiore di queste ricerche era un soggetto categoriale. 

Poi c’è stata anche la stagione dello studio degli spin off. Lo studio di ciò che organizzativamente nasce dall’associazionismo. Una stagione in cui si cercava di capire bene se e come l’associarsi porta alla creazione di altri soggetti, considerati importanti perché produttivi, perché capaci di dare lavoro, di rispondere in logica di servizio, di fare mutualismo in larga scala…

Oltre la tentazione della realtà immediata - Ilvo Diamanti

In realtà io oggi sono… come dire - non dico felice, perché è una definizione indefinita -  sono soddisfatto di essere qui,  perché in qualche modo è un’occasione per ricongiungermi alla mia storia e alla mia biografia, per ricordarmi ciò che sono stato. E ciò che sono stato contribuisce a ciò che sono adesso, alla mia identità attuale. 

La mia prima esperienza pubblica è nelle Acli. Avevo i capelli, avevo anche la barba fluente, ero giovane… In un dibattito mi hanno definito: “Una delle teste più lucide del nostro paese”. Che dire: la lucidità l’ho mantenuta. In questo caso la lucidità mi spinge ad individuare un percorso di comunicazione che parta da un battuta e da un frammento di storia comune per permettermi di inserirmi nelle vostre riflessioni, con ciò che dirà poi il collega Tommaso. 

Anche io per tanti anni ho insegnato qui ad Urbino e lì, a Parigi. 30 anni ad Urbino e 27 anni a Parigi. Per lo più in contemporanea. Tenete conto di cosa potesse significare spostarmi di continuo, nella stessa settimana, prima a Parigi e poi ad Urbino. E dal punto di vista delle trasferte andare a Parigi era molto più semplice che venire ad Urbino! A chi (e c’era) mi chiedeva: “Ma come fai a fare una vita di questo genere? Ma sei matto?” Io lo guardavo come se il matto fosse chi poneva la domanda. “Ma ti rendi conto? Io ogni settimana vado in due dei luoghi più belli che conosca. Passo da avere di fronte la Basilica, in una piazza come questa, ad avere di fronte il Pantheon. E non solo: mi occupo di ciò che mi piace e mi interessa. Aggiungete che, per tutto questo, sono anche pagato! Di cosa dovrei lamentarmi?”.  

Io oggi sono legato, doppiamente, a questo luogo e a questa occasione, perché ci siete voi e perché questo è il mio mondo. Qui ho anche cresciuto persone di qualità e valore che sono presenti anche oggi e che, per fortuna, oggi che sono pensionato, proseguono nella loro attività, di fatto riproponendo e portando avanti anche la mia attività. 

L'Armonia degli sguardi - Presentazione del libro di Emiliano Manfredonia al Circolo Acli Universitario di Urbino



Mariangela Perito: 
Siamo in un posto significativo, di cui poi Emiliano dirà meglio. 
Il libro è scritto con leggerezza, che non è superficialità. 
E’ un libro che parla a sé e parla all’altro. Racconta la storia di tutti, di chi ogni giorno si sporca le mani, impegnato nell’associazione. 
Come si annuncia nella prefazione di Padre Costa, questa è la società dell’immagine. Tutti siamo guardati e tutti guardiamo. Ma spesso non c’è contemporaneità, non c’è reciprocità, guardiamo quando l’altro non ci osserva. Il testo dice dell’importanza della reciprocità e della capacità di sintonizzarsi sull’altro. 
Mi sono riconosciuta. Nel libro c’è uno sguardo altro, capace di immergersi nella concretezza dei fatti. 
Ci sono parole che, secondo me, rimandano a concetti fondamentali trasversali: solidarietà, silenzio, speranza, dignità. 
Solidarietà: come compassione, capacità di sentire con. 
Silenzio: perché quando ci si guarda intensamente, delle volte non ci si parla. Noi siamo abituati a produrre, invece nel silenzio possiamo perdere un po’ della nostra identità, per metterci alla pari dell’altro. 
Speranza: Costruire cultura della speranza. Ilvo Diamanti ci ha detto come siamo centrati sul presente, mentre abbiamo bisogno di futuro. Quando ci si appiattisce sul presente, non si dà spazio alla dimensione desiderante. Invece c’è bisogno di desiderare cosa potrebbe accadere domani. E’ qualcosa che anche tu dici nel libro, attraverso gli incontri che hai fatto. Come Presidente ma anche come persona. 
Dignità: ci si guarda perché ci si riconosca e si riconosce che la vita può essere degna. Ogni essere umano ha diritto di diventare ciò che è. Molto spesso parliamo di periferie esistenziali, è periferia esistenziale una vita che non è in condizione di una vita degna. 
E poi scrivi: “E prego, almeno ci provo, per una umanità più giusta…”
Si vede che senti, oltre che pensi, le cose che scrivi.  

Pragmatici esercizi di umanità, spostamenti e trasformazioni.



La Bosnia. I profughi. L'Europa.
La Bosnia é un luogo che non ha più voglia di presentarsi come "quella della guerra". 30 anni dopo, ha pure molto senso. Anche se i segni delle smitragliate ci sono ancora su certi palazzi, non sono la prima cosa da vedere, in mezzo ai locali dello struscio, gli alberghi fighetti, le pubblicità per turisti e un gran fiorire di rose, di nuovi murales, di scuole pubbliche da cui partono futuri campioni di basket...
Diaspora. È una parola emersa molto nei racconti. Bosnia oggi é luogo di gente che va altrove, in cerca di opportunità, per sfuggire al presente di immobilismo, più che a ciò che resta del passato. Ma forse sono proprio i nodi irrisolti dal passato che impediscono lo sviluppo futuro che (in fondo) sarebbe così a portata di mano. Un paese ancora diviso in più parti. Partiti nazionalisti che ancora soffiano sulle braci dell'essersi fermati agli accordi di Dayton. Chissà se davvero la speranza può arrivare da una politica diversa, fatte dal crescere di livello di liste civiche non costruite su identità nazionali?
"Tra 15 minuti voi tornate in Europa", dice il vice sindaco sorridendo con il mano la bandiera europea che Emiliano gli ha appena consegnato. "Vi auguriamo di arrivarci presto anche voi" aggiunge Stefano. "Voi siete già Europa, ma speriamo che l'Unione Europea arrivi fino a qui" chiosa Daniele.
Locali che cambiano destinazione con il mutare delle emergenze e delle vicende. La Chiesa che (secoli orsono) diventa moschea. Il villaggio per gli scambi giovanili del tempo di Tito che prima resta in disuso, poi rinasce come "accoglienza" dei profughi in transito, poi quarantena del covid, poi un nuovo abbandono.
Profughi. Chi ha più di 40 anni non può non ricordarlo, cosa è stato essere profugo o vivere sotto assedio. Qui intorno. Adesso si fanno progetti nelle scuole per insegnare come si viveva sotto assedio e non perdere la memoria collettiva. Ed in piazza c'è un monumento ai caduti che é un bellissimo simbolo: un cerchio, tondo, intatto. Con un pezzo rotto, a terra. I caduti in guerra. Il pezzo di comunità che non c'è più.
Oggi qui i profughi sono coloro che arrivano da Bangladesh, Afghanistan e mezzo mondo e finiscono in mezzo a questi boschi, ad affidare la propria sorte ed i risparmi di famiglia ad un trafficante che permetta di fare l'ultimo pezzo di tragitto, varcare la frontiera ed entrare in Europa. "E tu vedi quanto scommettano tutto per arrivare. A qualsiasi costo, in tutti i sensi" racconta Claudia. "Come se l'arrivo fosse la fine della fatica. E tu che sai, non puoi non pensare che dopo è ancora un pezzo di inizio, forse peggio, perché non c'è più il sogno".
Un campo da 1500 persone in mezzo ai boschi. Prefabbricati bianchi su prato verde, dopo strada sterrata. Troppo pieno, poi troppo vuoto. La stagionalità e gli effetti del meteo, da un lato. La ricerca di sempre nuove rotte e nuovi modi di passare, dall'altro. La globalizzazione la respiri qui. Altro che battito d'ali di farfalla. Conflitti mediterranei ed asiatici, emergenze climatiche in Africa, decisioni europee altrove...producono effetti concreti sotto forma di persone qui, in mezzo a questo bosco nel nulla, ad un passo dall'Europa.
Il thè caldo distribuito, la gara di cucina, il lavoretto, due parole di lingua..."siamo qui come esseri umani con esseri umani" dice Silvia. "Ma non dovremmo essere qui". "Non dovremmo esserci, perché questo posto non dovrebbe esistere".
I campi nel bosco sono meglio del nulla. Un conteiner con thè caldo e legna per cucinare è meglio di nulla. I prefabbricati sono meglio delle tende. Un campo aperto è meglio di uno chiuso. Le famiglie in città sono meglio che tutti sui monti. La comunità per minori stranieri (in progetto) è meglio del campo. Esserci permette di provare a fare qualcosa. Esserci come precondizione per spostare di un poco l'asticella. Anche questo è pragmatico esercizio di umanità.
In un luogo dove tutto cambia funzione continuamente, non riesci a non pensare "Cosa diventerà questo luogo dopo?" C'è già il recinto, c'è già l'isolamento, c'è già l'essere appena fuori dai confini. Forse basterà poco per trasformarlo in centro di detenzione per trattenimento e rimpatri di vario tipo.
A breve si andrà a votare.
Ma noi, che Europa vogliamo essere?
Con tutta la consapevolezza che le scelte si fanno votando, ma anche molto essendoci qui a fare cose così.
Prime riflessioni informi, da treno di ritorno di una toccata e fuga 12 anni dopo dall'ultimo viaggio.
La Bosnia. I profughi. L'Europa.

Per una ricostruzione aclista del decennio 1969-1979 - Domenico Rosati



Per una ricostruzione aclista del decennio 1969-1979 

Domenico Rosati 


1. Far riaffiorare le informazioni sommerse

Cade quest’anno il X anniversario dell’XI Congresso Nazionale delle Acli che si svolse a Torino dal 19 al 22 giugno 1969. Fu un congresso importante nella storia delle Acli: di svolta, come si disse allora e come poi risultò nei fatti. Conviene dunque riparlarne. Ma come? 

Sul piano del metodo credo sia importante evitare due rischi: il primo è quello di “annegare” il Congresso di Torino, e ciò che rappresentò, nella rievocazione generale, per non dire generica, del contesto culturale, sociale, politico e religioso del 1969; e per stemperare così il senso di quella svolta considerandola un momento minore di una partita che, tutto sommato, si giocava e decideva altrove. L’altro rischio è quello di leggere le vicende solo attraverso le lenti deformanti di una ricostruzione esclusivamente “aclista”, con il risultato di dare al tutto un taglio intimistico e in fondo apologetico; e comunque, di presentare la vicenda Acli con un carattere di “centralità” che in effetti essa non ha avuto. E che non aveva neppure nel 1969, quando molti di noi ritenevamo che le Acli fossero il punto fermo su cui fissare la punta del compasso per tracciare il cerchio in cui rinchiudere l’universo. 

Allo sforzo per evitare i due rischi si aggiunge, per me, una complicazione da non sottovalutare: il fatto che io non sono un osservatore estraneo e distaccato rispetto a quanto accadde prima, durante e dopo il Congresso di Torino. Con l’aggravante che ritrovandomi attualmente nella posizione di Presidente delle Acli, sono naturalmente indotto a leggere i dati di quanto accadde allora alla luce di quanto si è successivamente prodotto con la tentazione, neppure tanto implicita, di “giustificarmi”. 

Naturalmente se questi scrupoli metodologici venissero fatti pesare in modo determinante si dovrebbe sospendere ogni ricerca e affidarsi, come si diceva una volta, al giudizio della storia che arriva più tardi, quando i cicli vitali sono definitivamente chiusi. Ma forse è possibile, con qualche cautela, evitare gli scogli più pericolosi e tentare un approccio ricostruttivo che non pretende affatto di dare un giudizio compiuto, ma vuole essere invece uno stimolo – se si vuole una provocazione – affinché da altre fonti d’acqua cominci a sgorgare, altre memorie si attivino, altri tasselli del mosaico possano accostarsi per consentire, a chi poi scriverà la storia completa, di lavorare su un tessuto di testimonianze il più possibile ricco e articolato. 

Lo stato delle cose - in ascolto dei presidenti provinciali - Acli 2020


 Era un periodo strano, c'era il Covid e, oltre ad essere rinchiusi in casa, c'era la sensazione che tutto attorno stava cambiando. Da questo, anche in vista del congresso, è partito un momento di ascolto di tutti i Presidenti provinciali, da cui questo lavoro di trascrizione ed analisi. 

Ad ognuno veniva chiesto: 

- una storia di solidarietà, un'immagine

- cosa hanno fatto "le tue Acli" in questa fase

- che ruolo per le Acli del futuro 

E tutto questo è stato riletto trasversalmente per mettere in evidenza: 

- le esperienze concrete

- le idee

- i riferimenti a persone o testi o organizzazioni (esterni a noi)

- i riferimenti a persone o circoli o parti di organizzazione (interni a sistema Acli).

A distanza di un mandato si potrebbe riprendere in mano per uno sguardo nel tempo...


A questo link è disponibile il file: In ascolto dei presidenti - 2020




L'Azione sociale delle Acli nelle Comunità di base - Giovanni Bersani - 1956

 


Giovanni Bersani è MCL. Quando ho trovato questo testo (che è parte di un numero speciale di Quaderni di Azione Sociale che raccoglieva tutti gli interventi del Convegno di Studi a Meldola, nel 1956 e che quell'anno era completamente dedicato all'Azione Sociale delle Acli. 

Leggendolo l'ho trovato molto interessante e molto attuale. Descrive, tra l'altro, cosa, per le Acli e per i cattolici, è comunità. Mi è parso di intuire perchè, proprio attraverso di lui, qualche decennio fa si tentò un riavvicinamento tra Acli e Mcl, di cui io ero al corrente perchè il tramite tentato fu quello delle rispettive ong. Ma troppa acqua era passata sotto i ponti e nulla si riuscì a fare... 

L'Azione sociale delle Acli nelle comunità di base - Giovanni Bersani

Appunti per una storia delle Acli attraverso i suoi progetti di società - Michele Giacomantonio - 1984


 La celebrazione del quarantennale può essere un'occasione importante per una ricostruzione serena ed approfondita del significato e del contributo che le Acli hanno portato al movimento operaio, alla società italiana, alla comunità ecclesiale. Questo lavoro che qui presentiamo vuole essere un contributo per stimolare una riflessione corale su un aspetto di questi 40anni, i progetti politici e culturali che le Acli hanno elaborato e promosso. Una contributo iniziale e quindi "provvisorio" perchè nasce con la consapevolezza di molti limiti. Il primo è data dalla difficoltà a focalizzare i progetti dentro le vicende: può essere accaduto così che si sia dato troppo risalto ai fatti - e magari a quelli della "cronaca" - a discapito di un adeguato approfondimento delle caratteristiche progettuali. Inoltre l'estensore di questi appunti non è un osservatore esterno, distaccato. Per quanto abbia cercato di essere obiettivo ha vissuto direttamente una parte di questa storia coinvolgendosi politicamente ed esistenzialmente.

    Prima, negli anni che vanno dal 1962 al 1970, con responsabilità regionali e provinciali, quindi dal 1970 al 1975 come esponente di una delle componenti che caratterizzavano allora la dialettica delle Acli (e specificamente quella di "sinistra"), infine dal 1975 ad oggi facendo parte della presidenza delle Acli, con un ruolo diretto nell'elaborazione del nuovo progetto. 


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Non sono presidente di una organizzazione, sono presidente di un problema, che esisterebbe anche se le Acli non ci fossero - Domenico Rosati 1985


Lecco – 28 settembre 1985

Domenico Rosati 

Cosa posso aggiungere ad una così completa rievocazione, che ha riproposto qui l’itinerario delle ACLI di Lecco, delle vostre Acli, di quelle che voi avete conosciuto e costruito, dentro le quali avete realizzato la vostra esperienza? Al livello e nell’ambito in cui avete rievocato il vostro vissuto io non posso veramente aggiungere niente, se non un commento o un’impressione. Ma non è questo che voi aspettate, penso. 

Consentitemi subito una sottolineatura: io non metterei fuori campo l’emotività dei sentimenti, che ho colto qui nelle parole e nelle voci di Bertelè, ma anche di altri. Le persone che hanno fatto una grande organizzazione, che ha immerso i suoi primi 40 anni dentro una storia così complessa come quella del nostro paese, possono avere bene il diritto (e il dovere anche) di commuoversi quando ricordano le vicende, quando rammentano le figure dei protagonisti e dei militanti. 

Io sono convinto che il non reprimere la ricchezza dei sentimenti è una qualità caratteristica della nostra organizzazione. E nel sottolinearlo, penso ad uno dei nostri presidenti nazionali che non c’è più, che è scomparso giovanissimo, all’improvviso: Marino Carboni, il quale, entrato nel 1976 nella vicenda politica, entrato insieme all’amico Citterio – mi diceva pochi giorni prima di morire: Ho nostalgia delle Acli, perché nell’ambiente in cui mi trovo vige una durezza di rapporti che da noi è sconosciuta. 

Sia chiaro, lo dico soprattutto per gli ospiti, le Acli non sono un’organizzazione di angeli: dentro le Acli si è praticato il gioco maschio (come usa dire Giovanni Bianchi che è di queste parti) si è battagliato aspramente su questioni vere e meno vere, sempre però con grande impegno e grande dinamismo. Non si tratta qui di mettere la cornice ad un quadretto sulla coltivazione dei buoni sentimenti. Ma trascurare il dato sarebbe non comprendere le Acli: parlo di questi elementi di rispetto, di fiducia reciproca, di capacità di superare, sul piano dei rapporti personali, le difficoltà della contrapposizione politica. Sono tanti anni ormai che sono presidente nazionale delle Acli – forse troppi – ma sento di poter dire che personalmente non ho nemici, o per lo meno non mi sento nemico di nessuno dentro le Acli. E’ comunque questa, la prima notazione che volevo fare. Mi pare significativa e distintiva. 

Se non ha ciò di cui hai bisogno cambia

"Se non ha ciò di cui hai bisogno cambia. Partner. Negozio. Banca". Va bene che i rapporti non siano tutti eterni. Però che il cam...